Con l’avvicinarsi della stagione estiva e delle temperature più calde che questa porta con sé, tendono ad aumentare anche i consumi dovuti alla maggiore accensione degli impianti di condizionamento e raffrescamento artificiali. Questo produce, di conseguenza, un maggiore dispendio di energia e di risorse oltre al notevole aumento dei costi delle bollette: al giorno d’oggi, infatti, non ci stupiamo più di fronte al fatto che si spende di più per raffrescare che per riscaldare.
Tra le soluzioni in grado di ovviare a questo problema, e quindi di agevolare il nostro portafogli, vi è la scelta di una casa prefabbricata in legno, progettata e realizzata a regola d’arte. Infatti, come già avevamo evidenziato in questo post di qualche settimana fa, benché l’edilizia residenziale in legno sia nata ed abbia avuto, storicamente, maggiore diffusione soprattutto in quelle regioni e zone caratterizzate da climi più freddi, essa è comunque in grado di garantire prestazioni sempre ottime in qualsiasi contesto ed a qualsiasi temperatura.

Vediamo quindi, più nel dettaglio, le peculiarità e le caratteristiche che una casa in legno deve avere per poterci garantire un ambiente domestico fresco e confortevole anche in estate e senza bisogno di ricorrere a costosi ed energivori sistemi di condizionamento artificiale.

Sfruttamento dello sfasamento termico

Quando si progetta una casa destinata a luoghi con climi dalle caratteristiche mediterranee, è fondamentale innanzitutto definire un involucro edilizio in grado di costituire un freno alla penetrazione del calore dall’esterno all’interno dell’ambiente domestico. Dal punto di vista tecnico questo fenomeno fisico è detto sfasamento termico e consiste appunto nella misura del tempo durante il quale un materiale (o un pacchetto di materiali) è capace di impedire il passaggio del calore. I tamponamenti esterni di un edificio devono quindi, se adeguatamente progettati, essere in grado di resistere al calore in entrata per le ore più calde della giornata e di tornare a raffrescarsi quando le temperature scendono.
Da questo punto di vista, la scelta di tecnologie e di sistemi costruttivi basati sull’utilizzo del legno consente innanzitutto di impiegare un materiale che già per sua natura assicura ottime capacità isolanti e, in secondo luogo, di sfruttare la massa dell’involucro stesso: è il caso dell’X – Lam, strutture prefabbricate realizzate attraverso l’impiego di pareti piene e massicce alternate a strati di isolamento a cappotto.

Il cappotto e la scelta dell’isolamento

La presenza dell’isolamento termico a cappotto è fondamentale per proteggere gli ambienti interni da qualsiasi temperatura esterna, sia da quelle rigide invernali, sia da quelle calde della stagione estiva. Tuttavia, per ottimizzare le prestazioni che si richiedono all’involucro dell’edificio in funzione delle condizioni climatiche specifiche del luogo, è essenziale scegliere bene il tipo e la densità dell’isolante da impiegare: infatti gli isolanti a bassa densità (o leggeri), come la lana di roccia o la lana di vetro, sono più adatti a proteggere l’ambiente domestico dal freddo invernale, mentre per impedire il surriscaldamento interno dovuto al caldo estivo, si consiglia l’utilizzo di materiali isolanti ad alta densità e con buona inerzia termica. Tra questi spicca, ad esempio, la fibra di legno ad elevata densità, un coibentante di origine naturale (e sostenibile) dalle prestazioni ottime soprattutto nei confronti delle onde di calore estive e dotato di buone caratteristiche di massa.

Case in legno per tutte le stagioni

Questi aspetti, uniti alle comuni regole della buona progettazione (volume, forma e distribuzione dell’architettura, orientamento ed esposizione, dimensione e disposizione di sporti ed aperture, ecc.), consentono quindi la realizzazione di case prefabbricate in legno adatte a qualsiasi contesto climatico, anche a quello variegato e prevalentemente caldo che caratterizza la nostra penisola. Inoltre la scelta dei sistemi costruttivi in legno e, in particolare, di quelli basati sull’impiego dell’X – Lam, risulta preferibile nelle zone mediterranee in quanto garantisce, proprio nei confronti del caldo, prestazioni nettamente migliori di quelle registrate dai materiali e dalle tecnologie tradizionali.
Aggiungiamo infine le caratteristiche della traspirabilità e della igroscopicità proprie del legno, che garantiscono all’interno degli ambienti domestici il massimo comfort e benessere (sull’argomento vedi anche il post Legno e comfort abitativo: esiste una relazione?).
Quindi prefabbricazione in legno sì e, soprattutto, non solo per costruire baite o case invernali, ma abitazioni per tutte le stagioni e condizioni.

Le caratteristiche fisiche e le prestazioni che il legno è in grado di assicurare ne rendono l’impiego adatto a tutte le temperature, da quelle più fredde a quelle più calde. La casa prefabbricata in legno è nata e si è sviluppata a partire soprattutto dalle regioni dell’Europa settentrionale e continentale, grazie all’abbondanza, in questi luoghi, di tale materia prima. Negli ultimi decenni tuttavia, con l’approfondimento degli studi, lo sviluppo delle tecnologie e la verifica delle prestazioni, l’impiego del legno si è consolidato e diffuso in maniera esponenziale anche in quelle regioni e zone caratterizzate da condizioni climatiche più calde.
Tuttavia, se da un lato è vero che le case in legno sono adatte a tutte le zone climatiche, dall’altro è vero anche che esse, per essere efficienti, devono presentare caratteristiche e differenze in funzione appunto delle condizioni specifiche del luogo a cui sono destinate.
Quindi il legno e le case in legno si prestano a qualsiasi clima sì, ma con gli opportuni accorgimenti.

Stratigrafia e coibentazione

La corretta progettazione di una casa in legno prevede innanzitutto l’attuazione di tutti quegli accorgimenti e strategie finalizzati all’ottimizzazione degli scambi tra interno ed esterno, tra edificio ed ambiente. Questo avviene attraverso la precisa ed accurata definizione della tipologia di materiali e dei relativi spessori da impiegare per la realizzazione di tutti i tamponamenti esterni (pareti esterne e copertura): è infatti la progettazione personalizzata delle stratigrafie da porre in opera a consentire l’adattamento del comportamento dell’involucro edilizio allo specifico contesto climatico.
Occorre quindi valutare e scegliere con cura ed attenzione quali materiali utilizzare, in quali quantità (spessore) e come combinarli ed abbinarli tra loro per massimizzare le prestazioni complessive dell’edificio.

Ad esempio la scelta di sistemi costruttivi di tipo leggero o pesante, rispettivamente sistemi a telaio o sistemi di tipo X-Lam, consentono al progettista di intervenire direttamente sulle prestazioni termiche dell’involucro, agendo appunto sulla sua massa e relativa inerzia termica. Invece l’applicazione di materiali isolanti ad alta o bassa densità (ad esempio, rispettivamente, come la fibra di legno o come la lana di roccia) rende il pacchetto più adatto a resistere al caldo o al freddo (per maggiori approfondimenti su questo tema vedi anche il post Una casa in legno per proteggerci dal caldo estivo).

Forma ed esposizione

Oltre che dalle scelte relative alle tecnologie ed ai materiali impiegati, la capacità di una casa in legno di adattarsi al contesto climatico in cui è realizzata, dipende anche dalla sua architettura.
In particolare sono le scelte relative alla forma, alla distribuzione, alla disposizione ed alla dimensione delle aperture e delle superfici vetrate, all’orientamento, a costituire un altro importante fattore in grado di influire in maniera pesante sulle prestazioni globali dell’edificio.

Ad esempio case in legno dalle forme compatte e raccolte consentono di massimizzare il risparmio di energia attraverso la minimizzazione delle superfici disperdenti, mentre forme più complesse o distribuite secondo assetti planimetrici più articolati, aumentano la superficie dell’involucro e, quindi, anche la superficie disperdente.

La disposizione, la dimensione e la collocazione delle aperture o delle superfici vetrate consentono invece di regolare la quantità di radiazione solare (e quindi di calore) in entrata: in zone a clima freddo le aperture dovranno essere orientate in modo da catturare la massima luce, mentre al caldo esse dovranno essere dotate di sistemi di protezione ed ombreggiamento atte ad evitare il surriscaldamento dell’ambiente interno. Nelle zone calde la corretta distribuzione delle aperture influisce anche sulla ventilazione interna e, quindi sul raffrescamento naturale.

Infine, è importante ricordare sempre, che le prestazione di una casa prefabbricata in legno dipendono sì dalle scelte tecniche e progettuali effettuate, ma anche (e soprattutto!) dalla qualità della sua realizzazione: è quindi fondamentale rivolgersi ed affidarsi sempre ad aziende certificate e che operano con cura e maestria secondo i criteri della sostenibilità, come la Albertani Corporates s.p.a.

Si sta diffondendo anche in Europa, lentamente, ma progressivamente. Per la sua ampia versatilità d’uso – dall’edilizia al design, dall’accessoristica per auto ai mezzi di trasporto, dall’agricoltura all’enogastronomia – il bambù sta conoscendo, negli ultimi anni, una popolarità mai avuta finora in Europa.

Il suo successo, come testimoniano le diverse sperimentazioni oggi disponibili, non deriva solo dalla sempre più larga e robusta consapevolezza ecologica sulla finitezza delle risorse naturali, nell’urgenza di migrare verso soluzioni rinnovabili, ma anche dalla maggiore conoscenza delle sue proprietà meccaniche e fisiche che ne consentono l’eterogeneità funzionale. Oltre ad essere particolarmente performante alla trazione e alla compressione, con una resistenza ben superiore al calcestruzzo e all’acciaio – tanto da essere ormai universalmente riconosciuto come “l’acciaio verde” (la resistenza può sfiorare i 12.000 kg/cmq!) – del bambù sorprende la leggerezza e l’elasticità, ma anche l’economicità, dovuta alla rapidità con cui cresce.

Il suo fitto apparato radicale costituisce, inoltre, una barriera naturale a rischi di smottamento, frana, dilavamento del suolo. È un alleato strategico, dunque, non solo contro i terremoti, ma anche per la mitigazione del rischio idrogeologico. Le foglie di un bosco di bambù, inoltre, assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno come poche altre specie naturali.

Tutte queste virtù, soprattutto in America Latina, hanno permesso che questa pianta, dopo alcuni drammatici alluvioni o terremoti, fosse impiegata per la realizzazione di soluzioni abitative temporanee d’emergenza per ristorare le centinaia di migliaia di sfollati. Nato, secondo la letteratura scientifica, in Cina e poi nel corso degli ultimi secoli diffusosi enormemente in tutto il continente asiatico fino a raggiungere proprio l’America Latina, il bambù è costituito da fibre di cellulosa inserita in una matrice di lignina. Le sue dimensioni sono variabili: alcuni esemplari possono essere alti pochi centimetri; altri, invece, possono raggiungere i 40 metri di altezza e i 30 centimetri di diametro.
Il bambù, presente in natura con più di 1200 varietà diverse (con la tipizzazione dovuta anche all’area geografica nella quale nasce la pianta), ha una crescita spontanea e rapida: a certe latitudini e a seconda della tipologia della pianta, anche 55 cm al giorno. Il bambù, oggi coltivato anche nel nostro Paese con bambuseti presenti in Toscana e in Emilia-Romagna, può essere tagliato ed impiegato già dopo 3-5 anni di vita e non ha bisogno di essere seminato, annaffiato o concimato.

Con questo materiale naturale e rinnovabile, tuttavia, si realizzano non solo abitazioni temporanee: per l’ausilio delle nuove conoscenze e tecnologie agro-botaniche, orientate a preservarne e a valorizzarne la crescita, oggi con il bambù – sempre più spesso abbinato al legno – sono edificate architetture permanenti (a sviluppo pressoché orizzontale), sia a carattere residenziale sia per uffici. È il caso, per esempio, dello Stam Europe Green Place – realizzato a Milano dallo studio Goring&Straja – che presenta una facciata completamente rivestita da un brise soleil in bambù, che favorisce tanto la ventilazione quanto l’illuminazione naturale con una continuità tra esterno ed interno.
In Europa, come dimostrano le esperienze innovative degli ecoquartieri nati tra Amburgo e Friburgo, è sempre la Germania a guidare la locomotiva delle green buildings. Nel Paese anglosassone, infatti, dopo la fortunata sperimentazione del “Padiglione Zeri” all’Expo 2000 di Hannover a cura dell’architetto Simon Velez (poi emulata da Vo Trong Nghia nell’Expo 2015 di Milano con il “Padiglione del Vietnam”), sono stati realizzati alloggi sociali in acciaio e bambù in grado di saldare tradizione ed innovazione, eleganza architettonica ed efficienza energetica. Sempre a Milano, invece, va ricordata la prestigiosa passerella della Triennale, un’opera realizzata da Albertani Corporates s.p.a. su progetto del designer Michele De Lucchi. A collegamento tra il grande atrio centrale del museo posto al primo piano e l’ingresso, la passerella costituisce un oggetto unico nel suo genere: si tratta infatti di una trave unica in lamellare di bambù composta da listelli tenuti insieme da una speciale colla appositamente prodotta.

Oltre a Shigeru Ban (Premio Pritzker nel 2014), anche un altro grande architetto giapponese ha impiegato il bambù nei suoi progetti: Kengo Kuma, infatti, tra il 2002 e il 2004, nella campagna di Pechino a ridosso della Grande Muraglia, ha visto sorgere la “Great Bamboo Wall” capace di integrarsi perfettamente ed armonicamente con il territorio.
Tra le costruzioni globali degne di note, infine, oltre al ponte pedonale di 18 metri progettato in un piccolo centro dell’Indonesia dal collettivo di Architetti senza Frontiere e assemblato in loco con la partecipazione proattiva della comunità locale, va citata la scuola buddista internazionale di Panyaden in Thailandia per essere stata edificata solo con materiali naturali, anche per una funzione pedagogica. La struttura prefabbricata, sormontata da un articolato traliccio strutturale in bambù lasciato a vista in grado di coprire una luce di 17 metri, ha una estensione di quasi 800 mq e può ospitare un massimo di 300 persone.

Il tema della prefabbricazione edilizia in legno e della prefabbricazione edilizia in generale costituisce un argomento nei cui confronti si percepisce ancora un diffuso scetticismo, nonostante la grande e rapida crescita che il settore sta registrando negli ultimi anni.
Sono infatti ancora molti quelli che continuano ad interpretare e ad associare il termine “prefabbricato” all’idea di un edificio di bassa qualità, realizzato in serie e dal carattere temporaneo o provvisorio.
Si tratta ovviamente di concezioni false e distorte, legate al passato ed ormai superate in virtù degli indiscussi e indiscutibili vantaggi e benefici che l’impiego delle tecniche di prefabbricazione porta con sé. Sia che si parli di prefabbricazione in legno, sia che si tratti di altri materiali.

Cosa vuol dire “prefabbricato”?

L’impiego di tecniche costruttive prefabbricate, costituisce, ad oggi, un fattore in grado di assicurare maggiore qualità, sicurezza e prestazioni al progetto da realizzare e di consentire, nello stesso tempo, il risparmio di risorse economiche. Per questo tali tecnologie vengono utilizzate sempre di più, sia per residenze private, sia, e soprattutto, nell’ambito della realizzazione di edifici di carattere pubblico o collettivo, come scuole, strutture sportive, centri polifunzionali, ecc.
E forse è proprio per questo, appunto perché spesso si tratta di edifici destinati ad ospitare i nostri figli, che il dibattito sulla loro qualità si accende ed anima con frequenza. Infatti il pensiero, errato, di molti è quello che associa il tema della prefabbricazione all’idea del container, un oggetto standard per dimensioni e caratteristiche, finito e pronto all’uso e, pertanto, immediatamente utilizzabile anche per sistemazioni di emergenza o temporanee.
In realtà, la prefabbricazione edilizia di qualità di cui tanto si parla oggi ed alla quale anche noi dedichiamo spazio all’interno di questo blog (sull’argomento vedi anche il post Case prefabbricate in legno: massime prestazioni al design che scegli tu) non è quella che produce le casette o i moduli che arrivano in cantiere belli e pronti e che devono quindi solo essere posizionati. La prefabbricazione edilizia a cui facciamo riferimento (e della quale la stessa Albertani Corporates s.p.a. è una delle maggiori fautrici in Italia) è quella che riguarda gli elementi costruttivi ed i componenti destinati a diventare parte del progetto finale: travi e pilastri, montanti e correnti, pareti, solai, falde. Quindi, a seconda del sistema costruttivo previsto dal progetto (il sistema a telaio o l’X – Lam sono quelli più diffusi e performanti nell’ambito della prefabbricazione in legno), all’interno dello stabilimento si provvede alla realizzazione degli elementi costruttivi necessari che, successivamente, vengono trasferiti in cantiere dove hanno luogo le fasi di posa in opera ed assemblaggio.

Prefabbricazione “su misura”

Inoltre, scegliere un sistema costruttivo che prevede l’impiego della prefabbricazione non significa limitare o vincolare la libertà progettuale ed architettonica in funzione della standardizzazione degli elementi da utilizzare. Al contrario: la prefabbricazione prevede e non può prescindere da una progettazione personalizzata, accurata e dettagliata di tutti i singoli componenti: ciascuno di questi deve infatti essere pensato, dimensionato e realizzato in funzione delle caratteristiche e delle prestazioni richieste ed attese da tutto l’intero edificio.
Lo stesso avviene anche per quanto riguarda i nodi e le connessioni: anche questi devono essere tutti progettati con attenzione e precisione, allo scopo di garantire le massime prestazioni dell’edificio finito e di eliminare ogni possibilità di presenza di difetti esecutivi.
La scelta di sistemi costruttivi di tipo prefabbricato porta quindi con sé un duplice vantaggio: da un lato la progettazione dettagliata di tutti gli elementi, strutture e nodi dell’edificio, permette di ridurre al minimo la quantità, la durata ed il costo delle lavorazioni che la manodopera deve effettuare direttamente in cantiere e, di conseguenza, di eliminare il rischio di esecuzioni difettose o non a regola d’arte. Dall’altro consente la massimizzazione delle prestazioni dell’edificio finito, soprattutto dal punto di vista della resistenza sismica e dell’isolamento termo – acustico: infatti la definizione a priori di tutti i dettagli costruttivi (stratigrafie, nodi, partizioni, aperture, ecc.) assicura la precisa previsione del comportamento della struttura e dell’involucro in funzione di tutte le variabili in gioco e permette, quindi, di predisporre le migliori soluzioni per rispondere alle esigenze del caso.

Qualità elevata e lunga durata

Tutti questi aspetti danno quindi vita ad edifici di qualità molto elevata sia dal punto di vista della progettazione che dell’esecuzione. Questo garantisce, di conseguenza, negli edifici realizzati con tecniche di prefabbricazione, il raggiungimento del massimo livello delle prestazioni, proprio in virtù di una progettazione che, sin dalle primissime fasi, li analizza e li sviluppa a 360° come organismi unici.
Scegliere sistemi e tecniche costruttive ti tipo prefabbricato, non significa quindi dover rinunciare alla qualità estetica ed esecutiva della realizzazione finale né, tantomeno, accontentarsi di edifici di natura precaria e temporanea. Al contrario la precisa ed accurata progettazione, unita ad un’esecuzione eseguita a regola d’arte, costituiscono l’elemento primario a garanzia della massima durata dell’architettura.

In ambito edilizio, il legno è ormai universalmente riconosciuto come il materiale sostenibile per eccellenza, in virtù delle caratteristiche e delle prestazioni che più volte abbiamo approfondito all’interno del blog: isolamento termo – acustico, naturale regolazione dell’umidità, resistenza, sicurezza, traspirabilità, salubrità.
A questi aspetti vanno inoltre aggiunti anche tutti quelli derivanti dal fatto che il legno è innanzitutto una materia prima naturale, rinnovabile, riciclabile ed il cui ciclo di produzione e lavorazione (laddove eseguito in conformità con le prescrizioni normative) si svolge nel rispetto dell’ambiente.

Nonostante questi aspetti abbiano un indubbio valore positivo, c’è un’argomentazione ricorrente che spesso gli viene contrapposta, una domanda che, molto frequentemente, viene rivolta a coloro che operano nell’ambito dell’edilizia in legno: come può, questa tanto celebrata sostenibilità del legno (e, di conseguenza, dell’edilizia in legno) conciliarsi con il problema della deforestazione e dello sfruttamento incontrollato del patrimonio forestale mondiale?

Le risorse boschive controllate

La risposta a questa domanda è in realtà molto semplice, dal momento che le aziende impiegate in questo settore attingono la materia prima di cui hanno bisogno, da risorse boschive controllate e gestite in maniera sostenibile. La loro attività non va quindi ad intaccare, danneggiare o depauperare in alcun modo il patrimonio verde del pianeta.
Il legno destinato ad alimentare le aziende che operano nell’ambito dell’edilizia, dell’arredamento, della carta, ecc. viene infatti appositamente prodotto e sistematicamente rinnovato, all’interno di siti forestali accuratamente controllati (sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo) e gestiti responsabilmente proprio a tale scopo: qui gli alberi sono numerati e, periodicamente, si provvede alla sostituzione degli esemplari più anziani con altri più giovani ed efficienti dal punto di vista della fotosintesi clorofilliana e, di conseguenza, della depurazione dell’atmosfera dall’anidride carbonica (che, in questo modo, viene mantenuta sempre al massimo livello).

La certificazione di Gestione Forestale Sostenibile (GFS) e la catena di custodia (CoC)

A tutela e garanzia del rispetto e della conservazione delle riserve boschive mondiali, da diversi anni sono attivi degli enti di carattere internazionale che si occupano di verificare con obiettività che il legno impiegato su scala industriale, in tutti i settori e le attività che ne costituiscono la filiera (edilizia, arredamento, cellulosa, carta, ecc.), sia effettivamente prodotto e lavorato in conformità ai criteri della sostenibilità ambientale, economica e sociale e nel rispetto della legalità e delle convenzioni sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni indigene coinvolte. In questi casi si può parlare di Gestione Forestale Sostenibile (GFS), riconosciuta attraverso il rilascio di una certificazione che attesta che la gestione di un territorio o di un’area boschiva risponde, appunto, ai requisiti sopra citati. La sua importanza è fondamentale in quanto garantisce al consumatore che i prodotti di origine forestale (legno o derivati) che acquisterà derivano proprio da foreste gestite in maniera legale e sostenibile invece che dallo sfruttamento illecito o irresponsabile del territorio.

Il legno o gli altri prodotti derivati provenienti da boschi e foreste con certificazione GFS possono essere marchiati, rimanendo quindi sempre rintracciabili nelle diverse fasi di trasformazione e lavorazione che subiscono, fino all’immissione in commercio. In questi casi si ha a che fare con un secondo tipo di certificazione, detto Chain of Custody (CoC) o catena di custodia.

Gli schemi di certificazione del legno

Gli schemi di certificazione riconosciuti a livello mondiale e più utilizzati allo scopo di consentire il riconoscimento dell’origine e la tracciabilità del legno e garantirne, nello stesso tempo, la reale sostenibilità, sono l’FSC e il PEFC. Entrambi verificano la gestione controllata e responsabile delle foreste e sono “ugualmente in grado di fornire garanzia al consumatore che i prodotti certificati a base di legno e carta derivino da gestioni forestali sostenibili”, come sancisce la risoluzione INI/2005/2054 del 16/02/2006 del Parlamento Europeo.
La certificazione FSC (Forest Stewardship Council) è una “certificazione internazionale, indipendente e di parte terza, specifica per il settore forestale e i prodotti – legnosi e non legnosi – derivati dalle foreste” (Fonte: www.fsc.org). Presuppone una gestione forestale rispettosa dell’ambiente, socialmente utile ed economicamente sostenibile, che viene misurata e verificata in base al rispetto di 10 princìpi.

La certificazione PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification) nasce invece come alternativa all’FSC, allo scopo di fornire uno strumento di verifica più flessibile ed adeguato al contesto europeo ed a proprietà forestali di dimensioni minori. Per ottenere la certificazione PEFC il legno ed i suoi derivati destinati alla filiera devono essere prodotti nel rispetto di princìpi basati innanzitutto sul rispetto del contesto naturale e della biodiversità, sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni indigene e su criteri di rimboschimento, rinnovamento e rigenerazione degli esemplari arborei.

Da vecchie cattedrali del consumismo a nuove piazze del protagonismo civico. Da stereotipati non-luoghi a rinnovati luoghi per la promozione di una altra e più inclusiva socialità. I centri commerciali saranno, nel prossimo futuro, i protagonisti indiscussi dei processi di rigenerazione urbana? Se volgessimo lo sguardo agli Stati Uniti, che da decenni anticipa tendenze poi pronte a manifestarsi anche alle nostre latitudini, sembrerebbe, infatti, che lo stato di salute dei mall center sia in forte peggioramento, tanto da essere stata coniata l’espressione “retail apocalypse”.

Cosa succede, invece, sull’altra frontiera dell’oceano? Nel nostro Paese, per la maturata consapevolezza che non si possa continuare a sprecare nuovo suolo agricolo e naturale in un pianeta attraversato da crisi ecologiche per la finitezza delle risorse, tra imprenditori e amministratori pubblici, istituti bancari e fondazioni, cittadini e associazioni di promozione sociale, non c’è quasi più nessuno che si dica contrario alla rigenerazione urbana sostenibile dello spazio urbano antropizzato.

Pur nella difficoltà burocratica e politica di disporre di una Strategia nazionale che orienti coerentemente la traiettoria della rigenerazione urbana, non sono stati finora pochi gli interventi che nei dettami della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica hanno consentito, soprattutto attraverso l’istituto della partnership pubblico-privata, di restituire alle comunità locali decine di aree militari o industriali o ferroviarie dismesse e fortemente degradate.

I progetti di trasformazione (e talvolta di sostituzione edilizia) hanno permesso che nascessero non solo originali esempi di social housing per le popolazioni economicamente più fragili, ma anche moderni hub per la creatività e l’imprenditorialità giovanile, musei e teatri, gallerie per le arti e laboratori digitali, nei quali sono nate micro-comunità capaci di plasmare nuove identità per i territori da loro vivacizzati.

Eppure, nonostante la rigenerazione urbana sostenibile dei centri commerciali sia ancora un tema da accademia scientifica, già ci sono alcune prime buone pratiche, sia in Italia sia in Europa. Sono esperienze che nascono anche dall’urgenza di avere polarità commerciali meno energivore e inquinanti poiché, per quanto si evince dal Rapporto Annuale sull’Efficienza Energetica redatto nel 2017 dall’Enea, per i loro consumi impiegano per oltre il 50% energia elettrica e per il 40% gas naturale. Proviamo a conoscerle.

Singapore. In una delle città-stato più attrattive del pianeta, soprattutto per le più giovani generazioni e per la sua capacità di integrare efficacemente le migliori tecnologie infrastrutturali e ambientali con quelle digitali, sin dal 2009 sono stati costruiti mall center sostenibili. Tra le architetture commerciali più note, il City Square nel panorama internazionale ha suscitato interesse, oltre che per i dispositivi ad alta efficienza energetica impiegati per una drastica decurtazione dei consumi come i pannelli solari innestati sul tetto verde, anche per l’installazione di sensori interni per il monitoraggio dell’inquinamento indoor per migliorare la salubrità dell’aria e per i numerosi percorsi didattici sull’ecologia riservati agli studenti.

Belgio. A Liegi, a due passi dalla riva della Mosa, gli architetti degli studi MDW Architecture e H+G Architects, nel desiderio di andare oltre il modello del “decorated shed”, si sono posti l’obiettivo di sottoporre il frammento urbano altamente asfaltato ad una agopuntura architettonica nell’idea che fosse necessaria elevare la qualità della vita e favorire l’accessibilità sia per i city users sia per i residenti. In ragione della sua ubicazione, la struttura esistente è stata demolita, con il nuovo volume – realizzato in legno di cedro, con una scansione ritmica variabile – sotto cui è stato trasferito il grande parcheggio, spostato al limite dell’area e la creazione di un nuovo attraversamento urbano nel verde (visivamente in continuità con quello del green roof del centro commerciale) per risanare le ferite urbanistiche del quartiere e accrescerne la fruibilità e la vivibilità.

Marche. Ad Ascoli-Piceno è stato realizzato, con la collaborazione di Albertani Corporates che ha curato il dettaglio costruttivo della copertura in legno, il shopping center “Città delle Stelle”. L’architettura commerciale, certificata Emas e riconosciuta tra le più green del Paese nel 2017, ha potuto conseguire i più alti livelli di sostenibilità ambientale per la rigorosa attenzione destinata a tutti gli elementi concorrenti del sistema tecnologico e funzionale: dagli impianti di climatizzazione a quelli di sollevamento, dall’ibridazione alla gestione dei rifiuti. La Città delle Stelle è molto più di un “semplice” centro commerciale: è per la cittadinanza un fondamentale luogo di aggregazione.

Emilia-Romagna. A Carpi, su iniziativa della Coop, è stato costruito un ipermercato green e ad alta efficienza energetica che ha consentito alla struttura, seconda in Europa, di raggiungere la prestigiosa certificazione Leed for Retail. I progettisti dello studio di architettura Macro Design Studio, attraverso un approccio integrato che prevedesse un sistema sinergico di soluzioni innovative, hanno previsto, infatti, l’impiego di 85 tubi solari per captare e amplificare la luce naturale di giorno (mentre per la sera previsti punti luce a led), per produrre energia elettrica pulita e generare un risparmio energetico annuo sui consumi totali del 45%; ma anche l’uso di sensori per ottimizzare la qualità dell’aria interna per un ambiente salubre capace di generare il massimo comfort per i fruitori. All’interno della struttura, infine, un giardino verticale di 100 mq per corroborare lo stato di benessere indoor e un bacino sotterraneo capace di accogliere fino a 10mila litri da reimpiegare per l’irrigazione dello stesso.

Quello dell’edilizia residenziale in legno è un settore che, nonostante la grandissima e costante crescita che sta registrando negli ultimi anni, si trova spesso a dover ancora fare i conti con il pregiudizio secondo cui con queste tecnologie si possano realizzare soltanto casette e baite. Infatti, nonostante la diffusione esponenziale delle realizzazioni di questo tipo e della letteratura sull’argomento, è ancora frequente la tendenza ad associare il concetto di casa prefabbricata in legno ad un edificio di piccole dimensioni e che il committente sceglie ed acquista da catalogo.

Tuttavia la realtà è ben diversa. Infatti, come spesso abbiamo sottolineato all’interno di questo blog, né l’impiego del legno né quello di tecniche costruttive di tipo prefabbricato pongono limiti o vincoli di alcun genere alle possibilità architettoniche e progettuali. Né dal punto di vista volumetrico – dimensionale, né per ciò che riguarda le scelte stilistiche e formali.

Questo significa che l’utilizzo della prefabbricazione in legno può costituire la soluzione più efficiente ed efficace per la realizzazione di edifici di qualsiasi tipologia, forma, volume ed uso: non solo piccole abitazioni monofamiliari quindi, ma anche edifici commerciali, uffici, grandi strutture destinate allo sport o alla cultura, complessi abitativi plurifamiliari.

Proprio a questi ultimi è dedicato l’approfondimento del post di oggi: edifici residenziali plurifamiliari realizzati in legno prefabbricato.

Come si costruiscono?

Gli edifici residenziali destinati a più unità familiari si qualificano, innanzitutto, per le dimensioni maggiori rispetto a quelle di una casa singola. Si sviluppano solitamente su più livelli fuori terra con eventuali piani interrati o seminterrati realizzati in cemento armato.

La progettazione e la costruzione di questi edifici presuppone pertanto l’impiego di tecniche e tecnologie costruttive adatte, appunto, alle grandi luci ed alle grandi dimensioni: sotto questo profilo, il sistema costruttivo che meglio risponde a tali esigenze e che, nello stesso tempo, garantisce anche un livello elevatissimo di resistenza ed efficienza, è l’X – lam.

Questo sistema costruttivo, al quale abbiamo già dedicato un approfondimento in questo post, prevede la realizzazione di elementi portanti di superficie attraverso l’impiego di pannelli lamellari multistrato prefabbricati: questi vengono tagliati e sagomati in stabilimento (in base alle definizioni progettuali) per diventare solai, pareti e falde. Una volta trasferiti in cantiere si procede, in maniera rapida e semplice, all’assemblaggio, che avviene a secco attraverso il supporto di connettori metallici.

L’ossatura portante dell’edificio viene quindi chiusa come una vera e propria scatola e poi rivestita dagli strati più esterni: l’isolamento termico (il cappotto) e la finitura.

La combinazione di tecnologia e modularità, unita alla definizione precisa ed accurata di tutti i nodi e le strutture, consente quindi, attraverso l’impiego dei sistemi X – lam, di ottenere massima libertà architettonica e progettuale. Questo senza tuttavia venire meno ai requisiti di resistenza e sicurezza.

Qualche esempio di realizzazione

Gli esempi realizzati di edifici residenziali plurifamiliari sono numerosi ed alcuni possono fregiarsi anche della firma di architetti illustri, come il nostro Renzo Piano. È il caso de Le Albere, intervento che ha visto anche la partecipazione della stessa Albertani Corporates s.p.a.: l’azienda è stata infatti incaricata di realizzare tutte le strutture (in legno lamellare di larice) destinate ad essere impiegate per facciate, falde e balconi di tutti gli edifici del complesso (oltre agli edifici pubblici, si contano 18 edifici a destinazione residenziale, per un totale di circa 350 unità abitative).

Legno a vista e architettura di qualità anche per il complesso residenziale Slippen, progettato dallo studio Reiulf Ramstad Architekter e realizzato a Mandal, in Norvegia. L’intervento (nella fase attualmente realizzata) costa di quattro edifici residenziali organizzati intorno ad una corte comune: le unità abitative sono in tutto 46 e si differenziano per tipologia e dimensioni. Le scelte architettoniche riprendono e traducono in chiave moderna e tecnologica le tradizioni locali: legno di cedro, tetti a falda e massimo sfruttamento dell’esposizione e della luce naturale.

“Non ci sono più i lavori di una volta”. E meno male, verrebbe da dire confutando questo vecchio adagio popolare, ancora oggi pronunciato nostalgicamente da chi guarda al passato e non riesce a proiettarsi ottimisticamente nel futuro. La crisi economica, che finalmente sembra ci si stia lasciando alle spalle, per la sua dimensione endemicamente strutturale, ha sbriciolato certezze granitiche e cancellato competenze plastiche, aprendo le strade dell’avvenire. Per un “mondo nuovo”, nel quale paradigmi come la sostenibilità ambientale e sociale o l’innovazione culturale e dei processi industriali hanno incontrato l’adesione di tanti. Sulla scia della consapevolezza che i nuovi modelli potessero portare, contemporaneamente, benefici etici, economici ed ecologici.

La parola “crisi”, che deriva dal greco, significa opportunità. Ed ha rappresentato, pertanto, per centinaia di migliaia di persone, non solo giovani, la possibilità di ricostruire la propria quotidianità. A partire proprio dal lavoro, che la nobilita e la qualifica. Con la diffusione delle nuove tecnologie digitali e l’affermazione delle economie sociali e civili orientate a dare valore a processi come la condivisione, non solo i vecchi lavori sono stati reinterpretati, ma sono nati, soprattutto, nuovi lavori, il cui tratto di originalità risiede sia nelle forme in cui è realizzato sia nei luoghi.

Proprio dal bisogno, per tanti, di saldare la necessità di disporre con una bassa spesa di una postazione funzionale per lavorare, non disponendo delle risorse per un ufficio “tradizionale”, con la possibilità di farsi contaminare intellettualmente da saperi diversi dai propri presenti nel medesimo spazio, sono nati, sempre più frequentemente in architetture industriali o civili riqualificati e ammodernati secondo i parametri della bioedilizia, i co-working. Da “semplici” luoghi per il lavoro condiviso, negli anni, per il successo che in Europa e nel mondo hanno avuto, sono diventate polarità sempre più flessibili e permeabili nella volontà di accogliere tutti quei servizi solitamente extra-professionali di cui lo smart worker può aver bisogno: oltre alla cucina o alla sala riunione, oggi in molti hub è possibile trovare una palestra, una sala giochi, un cinema-auditorium. Con molti hub oggi scelti anche per le soluzioni eco-friendly adottate per l’arredo, per la dotazione impiantistica e l’alta vivibilità garantita. Vediamo, quindi, alcuni esempi virtuosi.

Londra. Tra gli innumerevoli coworking diffusi nella capitale inglese, quello che ultimamente ha suscitato nel panorama internazionale maggior clamore è stato “TreeXOffice”. Questo progetto, infatti, a carattere temporaneo, nasce con la volontà di stimolare i cittadini a vivere maggiormente le aree verdi per rendere produttivi i parchi urbani. Le otto postazioni sono state realizzate su una piattaforma, che ruota attorno ad un tronco di albero, costituita da pannelli in policarbonato traslucido apribili così da far entrare la luce e l’aria.

Lisbona. La capitale del Portogallo ospita quello che, probabilmente, è oggi il coworking più ecologico del nostro continente. “Second Home”, infatti, realizzato dallo studio architettonico SelgasCano, oltre a nascere dalla riqualificazione del Mercado da Ribeira (1100 mq) del quale è stata conservata integralmente la copertura con le sue capriate di ferro a vista, prevede un sistema di servizi (caffetteria, biblioteca, cinema, sala benessere) volti a creare sia convivialità sia una diversa professionalità per una maggiore creatività e imprenditorialità. Al centro dell’open space luminoso e colorato, un banco extralarge lungo ben 70 metri dalla forma sinuosa – abbracciato da un migliaio di diverse piante autoctone capaci di assorbire inquinamento indoor e rumore – per favorire sinergie e lavori di gruppo, ma anche l’adeguata privacy per concentrarsi sulla propria attività.

Hong Kong. Il più grande hub professionale-sociale della città, il CoCoon, ha nella sostenibilità ambientale il suo più efficace bigliettino da visita: il pavimento è stato realizzato prevalentemente in bambù, le luci sono a led, le pareti sono dipinte con vernici naturali e atossiche, l’inquinamento indoor è fortemente ridotto dalla diffusa presenza di piante che rendono, inoltre, l’open space più accogliente e rilassante per una esperienza del lavoro più produttiva.

Denver. Negli Stati Uniti, tra gli oltre 900 coworking presenti, merita una menzione d’onore il “GreenSpace” di Denver. È un hub, infatti, che ha adottato e sperimentato la filosofia dell’economia circolare: oltre ad essere costruito con materiali ecosostenibili e aver installato oltre 160 pannelli solari sul tetto per compensare il 100% del consumo di energia, ha previsto un punto di raccolta e riciclo dei rifiuti elettronici. Anche qui, poi, le diverse postazioni, inserite in un contesto conviviale, sono circondate da piante autoctone che contribuiscono alla riduzione dell’inquinamento indoor per una più alta salubrità dello spazio condiviso.

Milano. Nella capitale economica del Paese, oltre al prestigioso “Copernico” che ha ricevuto la certificazione americana di sostenibilità aziendale Leed Platinum per la radicale attenzione anche al ciclo di vita dei materiali impiegati per la realizzazione di questo spazio nel quale si integrano la sostenibilità ambientale e l’innovazione socio-digitale, ma citata anche l’esperienza di “inEDI”. Negli oltre 900 mq disponibili, sono state realizzate circa cinquanta postazioni per i professionisti. L’energia elettrica della struttura proviene da fonti rinnovabili e tutti gli arredi interni sono realizzati con materiali riciclati. Tra i tanti offerti, un servizio particolarmente apprezzato dai fruitori di questo spazio molto confortevole è la possibilità di disporre del bike sharing per spostarsi in città in modo ecologico e sostenibile.

L’ondata di freddo eccezionale che in questi giorni ha colpito l’Italia ci ha spinto a voler riflettere e fissare qualche punto sul tema casa in legno e neve.

La neve, la soffice coltre bianca e silenziosa in grado di rendere magico ogni paesaggio e di farci tornare tutti un po’ bambini, da sempre costituisce un elemento con cui l’uomo e le sue esigenze abitative hanno dovuto confrontarsi, specialmente nei contesti geografico – territoriali caratterizzati da maggiori latitudini e da elevate altitudini. L’architettura tradizionale di questi luoghi da sempre testimonia lo stretto connubio che sussiste tra la presenza di climi molto freddi e rigidi e l’impiego del legno per la realizzazione delle abitazioni.

Perchè il legno?

Le motivazioni che rendono così stretto e duraturo il rapporto tra clima freddo e case in legno è dovuto sia a questioni pratiche, vale a dire la grande disponibilità e reperibilità di tale materiale in questi contesti, sia alle ottime prestazioni che esso è in grado di assicurare dal punto di vista dell’isolamento termico e della resistenza. L’impiego del legno infatti ha da sempre consentito la realizzazione di ambienti domestici caldi e confortevoli, in grado di mantenere il calore interno senza dissiparlo ed impedendo, nello stesso tempo, alle basse temperature esterne di penetrare.

L’utilizzo del legno unito agli accorgimenti tecnologico – costruttivi propri delle tradizioni locali garantisce inoltre ambienti asciutti, privi di umidità e sicuri, come i basamenti in pietra tipici delle baite alpine di alta quota o l’elevata pendenza delle falde atta ad impedire l’accumulo di neve.

Qualche esempio

L’impiego del legno e dei materiali locali e l’applicazione di quegli accorgimenti che, nei secoli, hanno reso confortevoli ed efficienti le case in legno in contesti climatici freddi, non costituiscono tuttavia un limite alle scelte architettoniche ed estetiche, né vincolano progettista e committente alla mera ripetizione dell’esistente . Ad oggi sono infatti numerosi gli esempi di case in legno dal design contemporaneo: si tratta di edifici che nascono dallo studio e dall’approfondimento di quelli tradizionali, ma che nello stesso tempo li declinano in maniera nuova.

Peter Zumthor, Oberhus, Unterhus e Türmlihus, Leis (Svizzera). Si tratta di tre edifici residenziali gemelli situati a Leis, nel Canton Grigioni (Svizzera): i primi due, Oberhus (residenza dello stesso Zumthor e Signora) e Unterhus, risalgono al 2009, mentre Türmlihus è stato ultimato nel 2013. In queste tre realizzazioni l’architetto Pritzker Prize fa propri i materiali e le tradizioni costruttive locali, fondendoli ad un design dal sapore contemporaneo. Le tre abitazioni sono costruite interamente in legno di pino del luogo (sia all’interno che all’esterno), attraverso l’impiego di sistemi prefabbricati assemblati in loco e presentano grandi vetrate che da un lato massimizzano il rapporto con la natura e con il paesaggio circostante e dall’altro rendono i tre edifici dei veri e propri volumi luminosi sospesi. Tutte e tre le abitazioni sono distribuite su tre livelli per un totale di circa 140 mq di superficie ciascuna ed ospitano elementi di arredo e sistemi illuminanti che vantano la firma delle grandi celebrities del design internazionale: Citterio, Arne Jacobsen, Eero Saarinen, lo stesso Zumthor.

Reiulf Ramstad Arkitekter, Split View Mountain Lodge, Geilo (Norvegia). Si tratta di una casa unifamiliare per vacanza, situata in Norvegia nella Valle di Hallingdal, nota destinazione sciistica. L’edificio si configura come un volume composto che segue e si adatta alle forme naturali ed ai dislivelli del paesaggio. È rivestito interamente in legno, sia all’interno che all’esterno e, come per le tre case di Zumthor, presenta grandi vetrate che sanciscono la profonda continuità tra il paesaggio naturale e l’ambiente domestico.

Il progetto riprende le tecniche costruttive e le scelte materiche proprie della tradizione norvegese, pur attraverso scelte formali contemporanee e pur assicurando il rispetto del paesaggio e del contesto.

CON3STUDIO, Camelot, Cesana Torinese (Italia). Camelot è uno chalet contemporaneo immerso tra le montagne al confine tra Italia e Francia. È realizzato interamente in legno e vetro, con un basamento in cemento armato su cui poggia la struttura portante in legno lamellare prefabbricato. I tamponamenti esterni garantiscono livelli di isolamento termico elevatissimi: questo, unito all’impiego di fonti di energia rinnovabile e a sistemi impiantistici a basso consumo, garantiscono la quasi totale autonomia energetica.

EM2 Architekten, Casa di caccia Tamersc, San Vigilio di Marebbe (Italia). Questo piccolo intervento si inserisce all’interno del Parco Naturale Fanes – Sennes – Braies e sostituisce una vecchia casa di caccia risalente agli anni Cinquanta. Il progetto consiste in due edifici di diverse dimensioni, rispettivamente uno adibito ad abitazione ed uno a piccolo rifugio. Sono entrambi in legno e con copertura a due falde, per riprendere i principi architettonici della tradizione locale: anche in questo caso le due strutture presentano poche ma grandi aperture vetrate che enfatizzano il rapporto con la natura e con il paesaggio circostante.

L’anno 2017 si è da poco concluso, lasciandoci in eredità la realizzazione e l’apertura di numerosi musei di tutto il mondo che vantano la firma delle più grandi archistar internazionali.

Il nuovo Centro Botìn de las Artes Y la Cultura di Renzo Piano a Santander è una grandiosa palafitta sospesa sulla baia di Albareda con rivestimento in formelle di ceramica che cambiano colore a seconda delle variazioni della luce del sole. Il Louvre di Abu Dhabi di Jean Nouvel è racchiuso sotto ad una cupola a nido d’ape che richiama la volta celeste attraverso l’impiego delle geometrie tipiche dello stile arabo. Lo Zeitz MOCAA di Città Del Capo in Sudafrica, progettato dallo Studio Heatherwick, recupera e rigenera l’architettura di un silo industriale abbandonato, per dare vita al più grande museo africano dedicato all’arte contemporanea. Il Musée Yves-Saint-Laurent a Marrakech, dello Studio KO, celebra il genio della moda attraverso un’architettura minimalista dalla forme tipicamente marocchine e dai volumi intessuti dai mattoni.

Si tratta di architetture ardite ed innovative, che nascono ex novo o che partono dal recupero o dalla rifunzionalizzazione di edifici preesistenti: l’elemento che le accomuna è, paradossalmente, la loro estrema eterogeneità, individuata dalle forme, dal design e, soprattutto, dalle diverse scelte in ambito materico. Troviamo quindi musei di mattoni, di ceramica, di cemento armato e, naturalmente, anche in legno.

All’interno del nostro blog abbiamo spesso celebrato i numerosi vantaggi che l’impiego di questo eccezionale materiale porta con sé, soffermandoci soprattutto all’ambito residenziale, quello più vicino alla nostra realtà di tutti i giorni. È tuttavia importante ricordare e sottolineare che il legno offre prestazioni e soluzioni di altissimo livello (dal punto di vista sia tecnico-prestazionale che del design) anche quando viene impiegato per la realizzazione di edifici più complessi, di natura diversa da quella residenziale: edifici per uffici e commercio, per lo sport, strutture sanitarie, scuole ed università, spazi espositivi e, appunto, musei.

Vediamo qualche esempio di museo in legno.

Il Miyahata Jomon Museum progettato dallo Furuichi and Associates si trova a Fukushimashi (Giappone) ed è dedicato alla Preistoria giapponese, precisamente all’epoca Jomon (da cui il nome) del X secolo a.C. L’edificio è realizzato in legno e cemento e si ispira, dal punto di vista architettonico ad una sorta di grotta contemporanea: sorge al di sopra di un’area archeologica e presenta una grandiosa copertura – scultura in legno che richiama all’immaginario l’idea delle stalattiti.

Il Romsdal Folk Museum progettato dallo studio Reiulf Ramstad Arkitecter e realizzato a Molde in Norvegia, è un edificio che attraverso l’architettura e la scelta di materiali locali, custodisce e racconta l’identità, la storia e la cultura del luogo. Il museo è realizzato quasi interamente in legno di pino, presenta una struttura in acciaio e risponde ai requisiti di sostenibilità e razionalità. Le sale espositive permanenti e temporanee possono variare grazie a grandi porte scorrevoli che consentono di combinare e separare gli spazi a seconda delle diverse esigenze.

Il Museo del Agua è una struttura realizzata a Lanjaròn, in Spagna, dall’architetto Juan Domingo Santos su commissione del Municipio della città e che segna l’ingresso al Parco Regionale della Sierra Nevada. Come si deduce dal nome stesso, il museo è dedicato all’acqua sia come elemento fluido e vitale, sia come risorsa economica ed industriale (l’acqua di Lanjaròn viene imbottigliata e venduta in tutta la Spagna). Il progetto è partito dal recupero di alcune strutture preesistenti di origine industriale, ma ha visto anche la realizzazione di elementi nuovi, come il padiglione di ingresso, un volume alto e stretto in doghe di abete finlandese, leggermente distaccato da terra e che definisce un vero e proprio spazio dei sensi.

Il Museum of Handcraft Paper (in italiano Museo della Carta Artigianale) si trova a Xinzhuang Village, nella Cina sud-occidentale. Il museo è composto da numerosi piccoli edifici che invitano ad entrare nel villaggio e ne costituiscono un proseguimento: in questo modo tutto il complesso edificato, le strade, le abitazioni ed il paesaggio diventano un unico grande spazio espositivo in cui l’arte della produzione della carta (da sempre risorsa e ricchezza del luogo) viene raccontata, preservata e fatta crescere. Dal punto di vista architettonico i piccoli volumi che compongono il museo sono realizzati attraverso l’impiego di materiali locali e tradizionali, unitamente a tecniche più moderne: il sistema costruttivo è quello tradizionale cinese in legno a secco mentre per i rivestimenti sono stati utilizzati legno di pino, bambù, pietra vulcanica e carta artigianale.

Il Museo del Legno di Cantù è invece uno spazio espositivo in cui il legno costituisce sia il principale materiale con cui l’edificio è realizzato (l’edificio è interamente rivestivo in legno di larice), sia ciò a cui il museo stesso è dedicato. Il Museo del Legno è stato realizzato su commissione della storica azienda brianzola Riva1920 ed ospita gli oggetti che ne raccontano la storia ed il design.

Chiudiamo il quadro con il celeberrimo Museo del Legno di Tadao Ando, realizzato negli anni Novanta all’interno della foresta di Mikata-gun (prefettura di Hyogo) per celebrare la Festa Nazionale dell’Albero. Il Museo, inserito nel paesaggio in un rapporto quasi simbiotico, è costituito da due volumi: quello principale, in legno di cedro locale, è a forma di tronco di cono ed ospita, al centro, una vasca d’acqua circolare ed una passerella sopraelevata in cemento armato che conduce al secondo volume, lo spazio museale vero e proprio. Quest’ultimo, un piccolo parallelepipedo in cemento armato, è totalmente immerso nella foresta.