1. Le costruzioni in legno favoriscono la deforestazione dei boschi?

No. L’alienazione dei boschi è generato da due modus comportandi di origine antropica: da un lato l’insostenibile o illegale gestione delle foreste, dall’altro l’inquinamento atmosferico. Nel primo caso rientra sia la conversione ad uso agricolo o urbano delle superfici boschive, sia il taglio illegale o gli incendi, per lo più dolosi; nel secondo sono da considerare gli effetti dell’inquinamento provocato dalle attività umane nelle aree urbane e industriali (si pensi ai gas serra). Non rientrando in alcuna categoria, pertanto, l’architettura in legno non contribuisce alla deforestazione. Anzi, al contrario, favorisce lo sviluppo del patrimonio forestale.

2. La casa in legno è adatta solo ai climi e alle temperature più rigide?

No. Le costruzioni in legno possono essere realizzate a qualsiasi latitudine. Il successo, da oltre un ventennio, delle costruzioni in legno nei paesi del nord Europa o nelle regioni settentrionali italiane non deve trarre in inganno. Con una corretta progettazione integrata – che preveda, per esempio, sistemi di schermatura o altri dispositivi per gestire naturalmente le temperature estive più alte – questa tipologia edilizia, infatti, può diffondersi, e si sta già diffondendo, anche nel Mezzogiorno.

3. Con una casa in legno si hanno problemi di inquinamento indoor?

Con l’espressione “inquinamento indoor” definiamo “la presenza nell’aria di ambienti confinati di contaminanti fisici, chimici e biologici non presenti naturalmente nell’aria esterna”. Sono “indoor” non solo le abitazioni, ma anche gli uffici pubblici e privati, le strutture comunitarie, i locali destinati ad attività ricreative e sociali, i mezzi di trasporto pubblici e privati. Trascorriamo mediamente non meno dell’80% della giornata in ambienti chiusi e siamo, quindi, maggiormente esposti agli agenti cancerogeni che rischiano di incidere sulla qualità della nostra vita. Essendo un materiale naturale e non di origine chimica, il legno, pertanto, avendo una sua “respirabilità” resiste e reagisce meglio alla tossicità di vernici, pitture o materiali in pvc che possono liberare fibre nell’atmosfera.

4. Come si comporta il legno in caso di incendio?

Tendenzialmente bene, contro ogni luogo comune. E, indubbiamente, meglio dell’acciaio e del calcestruzzo. Per il fenomeno della carbonatazione, infatti, solo quando la temperatura di combustione supera i 240°C inizia un processo di carbonizzazione dello strato più esterno che protegge quello più interno con la sezione resistente che non si riduce se non in tempi lunghi. Significa, quindi, che il collasso delle strutture in legno per incendi – la cui causa principale non è mai la struttura, ma gli elettrodomestici o i tendaggi e le stoffe in genere – è una probabilità remota.

5. Come si comporta il legno in presenza di umidità?

Più del fuoco, il vero “nemico” del legno è, potenzialmente, l’acqua: quando ristagna manifestandosi nelle diverse forme di umidità oggi diagnosticabili in un ambiente confinato (da infiltrazione, da risalita, da costruzione e da condensa), infatti, il disagio o degrado provocato non è solo estetico, ma anche “climatico”: ossia la casa può perdere gradualmente il suo livello ottimale di comfort. Esistono, tuttavia, alcune soluzioni: l’ideale sarebbe la previsione, sin dalla progettazione, di materiali e tecnologie sfavorenti questo fenomeno; in costruzioni già esistenti, invece, diventa indispensabile la manutenzione e la portata di ventilazione trasversale per favorire la migliore salubrità possibile delle abitazioni.

6. Come si comporta il legno in caso di terremoto?

A differenza delle strutture in muratura o in cemento armato, le strutture in legno – da preferire per la loro flessibilità, elasticità e capacità di gestione delle oscillazioni dinamiche orizzontali dei terremoti – si integrano bene con i dispositivi impiegabili per la prevenzione: si possono, quindi, considerare tanto soluzioni per l’irrigidimento attraverso dei sistemi controventati o sistemi di consolidamento di travi e solai; quanto i dissipatori di energia o i giunti strutturali.

7. Quale la durabilità e come si organizza la manutenzione di una casa in legno?

Sgretolando un altro pernicioso luogo comune, possiamo asserire che, ove una costruzione in legno venga realizzata a regola d’arte e con materiali di alta qualità certificati, essa potrebbe vivere per almeno 40 anni e per almeno 20 anni potrebbe non necessitare di interventi di manutenzione straordinaria.

8. Anche per ottenere un beneficio energetico, posso usare il legno per realizzare nella mia abitazione una sopraelevazione?

Assolutamente. Anzi, ad oggi, l’unica modalità per saldare la dimensione della sostenibilità economica con quella ecologica, in caso di sopraelevazione, è proprio di ricorrere al legno che, risultando più leggero dell’acciaio, risponde meglio ai dettami statici e sismici, oltre che estetici. Ancor più quando l’intervento è realizzato in un condominio. In ogni caso, tuttavia, una sopraelevazione che preveda anche una copertura lignea, se progettata e realizzata correttamente, produce anche un beneficio in termini di efficienza energetica perché coibenta meglio l’involucro domestico.

9. Quali i bonus e le agevolazioni fiscali per una costruzione in legno?

A partire dal 2012, in Italia si è cominciato a riconoscere e a concedere agevolazioni fiscali per alcuni tipi di interventi edilizi, a determinate condizioni ed entro archi di tempo limitati. L’ultimo aggiornamento, relativo alla legge di stabilità 2016, ha sancito il rinnovo per un altro anno della detrazione fiscale del 50% per gli interventi di ristrutturazione edilizia e del 65% per quelli di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico degli edifici. Dal 1° gennaio 2017, le detrazioni relative agli interventi di ristrutturazione torneranno entro le misure ordinarie del 36%, con limite massimo di spesa di 48.000 €.

10. Perché costruire, quindi, una casa prefabbricata in legno? Quali i vantaggi di questa modalità costruttiva e di questo materiale rispetto ad altri?

Le costruzioni prefabbricate hanno il vantaggio dell’economicità (si può risparmiare fino al 90% per i costi energetici), della rapidità e della qualità d’esecuzione con alcuni elementi fondamentali come pareti e solai realizzati negli stabilimenti industriali e poi soltanto assemblati in cantiere. Oltre ad una buona performance in caso di incendi e terremoti, inoltre, come già diffusamente raccontato negli articoli precedenti inseriti in questo blog, il legno è capace di assicurare, pure con piccoli spessori, alte ed ottime proprietà di isolamento termo-acustico sia nel periodo invernale sia nel periodo estivo.

Macchie e cattivo odore sono i principali ed evidenti indicatori della presenza, all’interno di un’abitazione o di qualsiasi altro edificio, di umidità e muffa: quando questi fenomeni si manifestano in un ambiente chiuso, significa che qui vi è ristagno di acqua.

Varie forme di umidità

L’umidità può essere originata da svariate e differenti cause: si parla di umidità da infiltrazione quando si tratta di acqua meteorica, che penetra attraverso le pareti o la copertura sfruttando i difetti costruttivi, oppure di quella che fuoriesce da tubazioni danneggiate. L’umidità di risalita, invece, risale per capillarità dal terreno attraverso i tamponamenti laterali esterni. Infine l’umidità da costruzione è quella generata dall’impiego, in fase esecutiva, di materiali non adeguatamente trattati o mal conservati.

In tutti questi casi i problemi di umidità che si manifestano all’interno dell’edificio sono riconducili a difetti riscontrati nel corso della sua realizzazione o della sua progettazione e sono dovuti a lavorazioni non eseguite a regola d’arte o a scelte inadeguate o errate.

L’umidità di condensa

A queste forme, va ad aggiungersi l’umidità di condensa, cioè quella prodotta all’interno delle abitazioni stesse e generata dalla presenza delle persone e dalle attività quotidiane che queste svolgono: respirare, riscaldarsi, cucinare, lavarsi, fare il bucato, ecc. Il calore che viene generato produce infatti l’evaporazione delle particelle di acqua presenti all’interno dell’ambiente domestico, le quali, sotto forma di vapore acqueo finiscono per depositarsi, condensando, laddove trovano temperature più basse: è il fenomeno che si osserva, in maniera ben visibile sui vetri delle finestre. Lo stesso avviene, seppure in maniera non subito evidente, sulle pareti o sui soffitti delle abitazioni, superfici fredde su cui il vapore acqueo si deposita e condensa: gli effetti non sono immediati, ma con il prolungato perdurare delle medesime condizioni di bagnato, viene stimolata la comparsa di macchie e l’attecchimento di funghi e spore che determineranno poi il proliferare di muffe.

Oltre al danno estetico, i pericoli maggiori legati alla presenza di questi fenomeni, sono soprattutto quelli legati alla perdita di salubrità degli ambienti interessati con rischio, soprattutto per i soggetti più deboli di contrarre patologie respiratorie o reumatiche.

Come contrastare l’umidità?

Per contrastare l’insorgere (o il perdurare) di condizioni di umidità e muffa all’interno delle nostre abitazioni è fondamentale, innanzitutto, scegliere bene. Come sopra evidenziato, infatti, molto spesso si tratta di problematiche determinate da difetti di progettazione e di esecuzione: occorre quindi fare bene attenzione sia alla qualità dei materiali da impiegare, sia alla competenza ed alla serietà della manodopera e dei tecnici che intervengono. È ad esempio molto importante curare con particolare scrupolo la definizione e la realizzazione dei nodi che potrebbero essere interessati da ponti termici, cioè porzioni di struttura esposte su due ambienti a diversa temperatura (solitamente una bassa esterna ed una più elevata interna) e quindi favorevoli all’insorgere di quelle condizioni che poi porteranno alla comparsa di umidità ed all’attecchimento di muffe.

I materiali

Anche la scelta dei materiali gioca un ruolo determinante nell’azione di contrasto ai problemi di umidità, soprattutto di quella di condensa: per evitare che il vapore acqueo si depositi all’interno delle pareti e lì rimanga, occorre fare in modo che l’involucro della nostra abitazione si comporti come una membrana intelligente. Questa deve cioè essere in grado di limitare gli scambi di energia tra interno ed esterno, garantendo l’isolamento termico, e di assicurare, nello stesso tempo, la traspirabilità e, quindi, la possibilità per l’umidità in eccesso di fuoriuscire.

Da questo punto di vista sono le case in legno a realizzare le prestazioni migliori: questo materiale infatti, oltre ad essere naturale e traspirante, è anche (e soprattutto) igroscopico: si contraddistingue, cioè per la capacità di comportarsi come un vero e proprio deumidificatore, che assorbe l’umidità in eccesso nell’ambiente e la rilascia gradualmente quando questo diventa troppo asciutto. Il suo impiego consente pertanto la salubrità ed il comfort agli ambienti interni, in maniera assolutamente naturale.

Il legno va comunque associato all’utilizzo di materiale adeguati, che siano cioè isolanti e traspiranti, e quindi capaci di garantire anch’essi la “respirazione” dell’edificio e di scongiurare che l’umidità in eccesso presente all’interno trovi delle barriere che la portino a condensare.

La ventilazione

Capita spesso, soprattutto in questi ultimi anni in cui abbiamo assistito al moltiplicarsi degli interventi di manutenzione e ristrutturazione (grazie anche alle agevolazioni fiscali), di assistere a fenomeni strani: cioè intervenendo su immobili esistenti e migliorandone, sulla carta, la qualità e le prestazioni (ad esempio attraverso l’installazione del cappotto o la sostituzione dei vecchi infissi), questi iniziano a mostrare qua e là presenza di umidità e macchie di muffa, mai viste prima. Com’è possibile? La risposta è molto semplice: nell’edificio “vecchio” i materiali impiegati (solitamente si tratta di muratura) e gli infissi, magari a chiusura non proprio perfetta, consentivano in parte la fuoriuscita del vapore acqueo in eccesso, mentre gli interventi migliorativi, di fatto lo sigillano all’interno, con tutte le conseguenze che abbiamo già esposto. In questi casi è quindi importante considerare la correlazione tra tutte le variabili in gioco ed, eventualmente, valutare anche la possibilità di ricorrere a sistemi meccanici di ventilazione e di estrazione meccanica dell’aria viziata e umida presente all’interno delle abitazioni.

Un diverso tipo di ventilazione è quello che si ottiene impiegando strutture di tamponamento esterno (pareti e coperture) caratterizzate da stratigrafie che presentano intercapedini vuote al cui interno l’aria può circolare in maniera naturale. Si parla, in questi casi, di pareti e tetti ventilati: sono realizzati in legno e consentono di ottenere benefici sia dal punto di vista dell’isolamento termico che della regolazione dell’umidità. Infatti la ventilazione da un lato consente il contenimento degli scambi di calore con l’esterno e, dall’altro, permettere al vapore di uscire prima di condensare all’interno dell’edificio.

Elena Ottavi

Quando nel 2006 l’ex vicepresidente degli Stati Uniti d’America, Al Gore, realizzò il documentario “An Inconvenient Truth” (“Una scomoda verità”) sul riscaldamento globale (poi premiato, con la vittoria dell’Oscar, l’anno successivo), non poche furono le critiche che gli furono mosse per le tesi presuntamente catastrofiche esposte. Nell’intento non solo di depotenziarle, ma, spesso, anche di occultarle. Nonostante fosse stato diagnosticato scientificamente che tal fenomeno è indotto e provocato anche dalle trasformazioni antropiche degli ecosistemi e della biosfera.

In questo decennio, poi, a corroborare quelle “profezie”, sia negli Usa sia soprattutto nel Sud-Est Asiatico, diversi violenti tsunami e uragani e terremoti, oltre a provocare decine di migliaia di morti, hanno arbitrariamente ridisegnato la geografia di molti territori. E, probabilmente, solo questa inarrestabile e inedita serie di catastrofi naturali susseguitesi negli ultimi anni e nella loro progressiva intensità, ha spinto, dopo alcuni falliti tentativi, i leader politici dei 195 Paesi partecipanti alla Conferenza sul Clima di Parigi a ratificare un Patto per contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi pianificando azioni e strategie per mitigare le conseguenze irreversibili dei cambiamenti climatici. I cui effetti, soprattutto se non dovessero essere pensate e realizzate – gradualmente, ma rapidamente – politiche di mitigazione e di prevenzione, o se fossero rallentate dai nuovi equilibri geopolitici internazionali, tormenteranno sempre più le principali spazialità frequentate dall’Uomo: le città.

Perché sono le città il cuore della sfida climatica in tutto il mondo. Perché è nelle aree urbane che si produce la quota più rilevante di emissioni ed è qui che l’intensità e la frequenza di fenomeni meteorologici estremi sta determinando e rischia di determinare sempre più danni crescenti, alle persone e alle infrastrutture. Per queste ragioni, pertanto, non solo grandi capitali globali come Londra, Parigi e Sydney, ma anche polarità europee di alto prestigio come Copenaghen, Rotterdam ed Amsterdam, per il loro rapporto genetico con l’acqua, hanno deciso, già da anni, di rigenerare le proprie politiche urbanistiche orientandole alla sostenibilità per una connessione sentimentale con la natura.

L’architettura contemporanea, perciò, diventa una estensione della natura, in una relazione pacifica e non antitetica. L’esito di questo processo, ad oggi, sono le cosiddette “case anfibie”, le floating homes. Per quanto possano sembrare, tuttavia, ancora soluzioni avveniristiche o d’avanguardia, destinate ad una utenza ad oggi particolarmente ristretta e benestante, nel prossimo futuro non è escluso che questa tipologia costruttiva, con lo sviluppo ulteriore delle migliori tecnologie eco-compatibili, possa diffondersi enormemente e rivolgersi ad un pubblico più ampio. Diventando, perentoriamente, una scelta quasi obbligata per tutti quei territori – si pensi a Venezia – che potrebbero finire nel prossimo futuro, letteralmente e fisicamente, sott’acqua.

Ma come sono costruite queste “houseboats”, ossia “case galleggianti” come barche? Per una esaustiva risposta, ci affidiamo all’esperienza della società olandese “Dura Vermeer”, coordinatrice del progetto europeo “Floatec”, il cui obiettivo è quello di sviluppare abitazioni capaci di resistere alle inondazioni. Il gruppo olandese ha sviluppato un sistema che prevede l’impiego del polistirene espanso sinterizzato (EPS). Questo polistirolo modificato, molto leggero come materiale, è inserito in un multistrato tra le falde di composito e cemento creando moduli che possono essere facilmente assemblati in una struttura di sostegno sufficientemente grande, al pari dei blocchi di costruzione, su cui viene gettato successivamente il calcestruzzo. Su queste “boe”, poi, viene sistemato il volume architettonico, costruito, con modalità prefabbricata, in legno. Con questo materiale che viene sempre preferito non solo per la sua leggerezza e flessibilità, ma anche per le sue intrinseche proprietà fisiche-meccaniche che lo predispongono naturalmente a garantire il massimo comfort energetico domestico.

Un’altra esperienza virtuosa, la “WaterNest 100”, ci porta a Londra sebbene sia stata progettata dallo studio italiano di Giancarlo Zema. La costruzione, una casa di 100 mq con un diametro di 12 m e alta 4 m, è realizzata in legno ed alluminio. Può ospitare quattro persone e può produrre energia pulita sufficiente per coprire i consumi mediante i pannelli fotovoltaici presenti sulla copertura. Gli arredi interni, inoltre, sono ecologici e l’impianto di micro-ventilazione è del tipo a basso consumo. Per l’uso di materiali sostenibili, infine, l’abitazione è riciclabile fino al 98%.

A conferma, concludendo, che oggi niente è impossibile, per l’architettura, soprattutto quando ideata e realizzata in armonia con la natura e non contro di essa. E quando al centro vi è sempre il diritto dell’individuo dell’uomo a vivere in sicurezza e per una esistenza felice.

Giuseppe Milano

Lo scorso 19 novembre il quartiere Le Albere di Trento ha visto finalmente inaugurato anche l’edificio destinato ad ospitare la nuova Biblioteca Universitaria Centrale (BUC). Il taglio del nastro si è svolto alla presenza di Renzo Piano, architetto e Senatore, nonché progettista della struttura, del vicino MUSE (il Museo delle Scienze) e dell’intero masterplan del piano di riqualificazione e recupero dell’area ex Michelin.

Il percorso che ha condotto alla definizione ed alla realizzazione della nuova biblioteca che oggi possiamo ammirare, non è stato tuttavia semplice e lineare: al contrario le vicende sono state lunghe ed hanno attraversato fasi complesse. Infatti in origine il masterplan dell’area prevedeva che i due poli dell’asse Nord – Sud, su cui è incardinata la distribuzione del complesso, fossero individuati e caratterizzati dalla presenza del MUSE e del Centro Polifunzionale, mentre la nuova biblioteca dell’Università di Trento, progettata da Mario Botta, sarebbe dovuta sorgere in una zona esterna. Varie vicissitudini hanno invece condotto alla configurazione attuale dell’area, che ha visto il progetto originario del Centro polifunzionale modificato ed adeguato allo scopo di ospitare la biblioteca dell’Ateneo trentino.

La nuova biblioteca è un edifico grandioso, distribuito su sette piani (più quello interrato in cui è collocato il parcheggio) e caratterizzato dalle ampie vetrate che conferiscono agli interni livelli molto elevati di luminosità: è in grado di ospitare circa 340.000 volumi, 10 km di scaffali, circa 450 postazioni individuali ed oltre 6.000 mq di spazi per la lettura e la consultazione. Le finiture interne sono state realizzate in bambù, materiale caratterizzato dal colore chiaro e, soprattutto, in grado di garantire ottime prestazioni dal punto di vista della resistenza e della sostenibilità.

Tuttavia, al di là dei riflettori che l’inaugurazione della biblioteca e l’avvio della sua attività hanno riacceso sull’area, ciò che rimane di maggiore interesse (rispetto alle tematiche trattate all’interno di questo blog) sono gli aspetti tecnici e progettuali alla base della realizzazione dell’intero quartiere.

Ce ne parla il Geom. Massimiliano Riva, addetto al settore tecnico – commerciale ed all’acquisizione e gestione delle commesse dell’azienda Albertani Corporates s.p.a., che ha partecipato all’esecuzione del progetto Le Albere.

Tale collaborazione è consistita nell’affidamento ad Albertani Corporates s.p.a. dell’incarico per la realizzazione di tutte le strutture in legno lamellare di larice, destinate ad essere poi impiegate per la costruzione delle coperture a falde inclinate, delle strutture di facciata e dei balconi degli edifici del complesso. Sul piano concreto questo si è tradotto nello sviluppo del progetto esecutivo da parte dell’Ufficio Tecnico Albertani Corporates, in base delle indicazioni contenute nel progetto architettonico: questa fase ha riguardato anche la definizione dei calcoli statici e l’elaborazione di tutti i disegni di dettaglio indispensabili per la produzione e l’installazione dei materiali. Tutto ciò in strettissima collaborazione e sinergia con le altre imprese impiegate nel progetto nei diversi settori.

Massimiliano Riva ci racconta inoltre che questa collaborazione fra Albertani Corporates s.p.a. e Renzo Piano non è stata un caso isolato. Al contrario si tratta di un rapporto avente una storia ultratrentennale: infatti in passato l’azienda ha avuto modo di collaborare a numerosi progetti dell’archistar, tra cui, su tutti, quello relativo al suo Studio di Genova affacciato sul mare. In quell’occasione Albertani Corporates si era occupata della realizzazione delle strutture in legno destinate ai solai ed alla copertura.

Infine, come nell’intervista di qualche settimana fa a Massimiliano Ferretti, chiediamo a Riva se, in qualità di addetto ai lavori e di esperto del settore, si ritiene soddisfatto dei risultati ottenuti negli edifici del complesso Le Albere dal punto di vista dell’efficienza energetica e del comfort interno. La sua risposta non lascia dubbi: “Mi ritengo molto soddisfatto del risultato ottenuto nel complesso Le Albere. Vivo in una casa in legno realizzata con l’impiego delle nuove tecnologie ad alta efficienza energetica e mi sento assolutamente di consigliare questo tipo di esperienza abitativa, difficile da spiegare, ma assolutamente da vivere”.

Elena Ottavi

Riuso e sostenibilità

Tra le molteplici forme e modalità attraverso cui si può, concretamente, realizzare la sostenibilità, vi è quella che passa attraverso il riciclo e riuso di materiali e componenti di vario genere e natura. In ambito architettonico sono numerosi i progetti (realizzati e non) riconducibili a questa tematica, che prevedono, ad esempio, il reimpiego e l’assemblaggio ad uso abitativo di moduli prefabbricati, più comunemente noti come container. Essi consistono in strutture metalliche impiegate soprattutto nell’ambito del trasporto intermodale di merci, il cui principale vantaggio è quello rappresentato dalla possibilità di movimentare i carichi che contengono in maniera più veloce e sicura. Il più diffuso ed utilizzato è il container ISO, “un parallelepipedo in metallo le cui misure sono state stabilite in sede internazionale nel 1967. A fronte di una larghezza comune di 8 piedi (244 cm) e una altezza comune di 8 piedi e 6 pollici (259 cm), sono diffusi in due lunghezze standard di 20 e di 40 piedi (610 e 1220 cm)” (fonte: Wikipedia).

Comfort e abitabilità di un container

Il loro impiego può avvenire secondo diverse forme e modalità: i container possono costituire l’unità modulare e costitutiva di strutture realizzate ex novo a partire dal loro assemblaggio, oppure possono venire impiegati come volumi in ampliamento nell’ambito di progetti di ristrutturazione.

Il loro utilizzo a scopo abitativo può vantare diversi aspetti a favore, come l’economicità, la buona durabilità, la facile reperibilità, la resistenza: non mancano però anche le controindicazioni, dal momento che si tratta di strutture prevalentemente metalliche e che, pertanto, devono prima essere trasformate e rese adeguate e rispondenti alle minime esigenze abitative di salubrità e comfort. Esse, ad esempio, non presentano alcuna forma di coibentazione né sono traspiranti: ciò comporta livelli molto elevati di dispersione del calore e di scambi di energia tra interno ed esterno. Nello stesso tempo impediscono all’umidità generata dalla presenza interna di persone e dallo svolgimento delle attività domestiche quotidiane, di fuoriuscire, come invece avviene con materiali come il legno. Quindi per poter essere abitabile un container deve, almeno, venire preventivamente isolato dal punto di vista termico. Dovrebbe inoltre essere depurato di tutti quei componenti tossici (vernici, solventi, prodotti chimici di vario genere) generatori di forme di inquinamento indoor che, nel tempo, potrebbero rivelarsi dannose per la salute degli abitanti.

Qualche esempio

Ad oggi la tematica del riuso di container a scopo abitativo raccoglie consensi ed interesse e gli esempi di applicazione aumentano ogni giorno di più: molto spesso di tratta di elaborazioni e di progettazioni finalizzate alla realizzazione di moduli residenziali standard, combinabili e destinati a dare forma e vita a nuovi modelli abitativi economici e sostenibili.

Fra gli esempi realizzati possiamo citare la World Flex Home, costruita a Wuxi in Cina su progetto dello Studio danese Arcgency di Mads Moller: si tratta di una struttura ottenuta dalla combinazione e dall’assemblaggio di tre container dismessi, ed integrata con l’impiego di soluzioni sostenibili atte al contenimento dei consumi e degli sprechi. Ne risulta un’abitazione modulare, adattabile ai diversi contesti e parzialmente personalizzabile in funzione delle esigenze e dei gusti degli abitanti.

Sono invece sei i container che Niu Jian, giardiniere cinese, ha utilizzato insieme ad un team di architetti e disegnatori per realizzare The Container Home, il prototipo di un’abitazione temporanea destinata ad ospitare una comunità di persone che condivida un progetto di vita collettiva e sostenibile contro il dilagare dell’industrializzazione e dell’inquinamento. Anche in questo caso tutto è stato progettato e costruito all’insegna della sostenibilità e dell’efficienza energetica: i singoli moduli sono combinabili secondo varie modalità che variano per tipologia e per numero di elementi.

Invece, il progetto Mini House dell’architetto svedese Jonas Wagell non prevede l’impiego di veri e propri container, ma si configura come momento di sintesi e connessione tra quella progettazione che prevede il riuso e la trasformazione di moduli originariamente non destinati all’abitazione e quella che, invece, definisce un modello che abbia già intrinseche le caratteristiche dell’abitabilità e del comfort. Mini House è infatti una piccola casa di circa 15 mq, realizzata prevalentemente in legno, materiale che garantisce migliori prestazioni sotto il profilo termico, energetico e della traspirabilità. E’ totalmente isolata e disponibile in moduli di diverse dimensioni a seconda delle esigenze.

In Italia l’impiego dei container a scopo abitativo permanente è molto poco diffuso sia per la presenza di un clima, soprattutto nelle regioni del Centro e del Sud, che in estate raggiunge temperature anche molto elevate, sia per la mancanza di precise regolamentazioni normative al riguardo. Inoltre, come già precedentemente sottolineato, posta la sostanziale parità tra i container e i sistemi in legno dal punto di vista dei vantaggi prodotti dalla prefabbricazione e dalla rapidità di esecuzione, i secondi risultano molto più performanti, salubri ed adeguati ad esigenze abitative permanenti.

Non è tuttavia impossibile imbattersi, anche nel nostro Paese, in qualche esempio di applicazione di moduli prefabbricati industriali in ambito edilizio-residenziale, come nel caso della ristrutturazione della villa vicentina, in cui gli architetti Zerbato e Santacatterina, hanno affiancato al fabbricato storico un nuovo volume che volutamente ricorda un container industriale.

Elena Ottavi

“Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”

Nel pensare al crescente successo delle costruzioni prefabbricate in legno registrato in questi ultimi mesi, affiora sulla superficie della memoria questo vecchio adagio popolare di Lazo Tzu. Le costruzioni prefabbricate in legno, infatti, nonostante la forte crescita sia a seguito degli ultimi terremoti sia per una sempre più larga consapevolezza sui diversi benefici di questo materiale naturale e rinnovabile, subiscono ancora grandi pregiudizi sotto molti aspetti, come nel caso della manutenzione.

E nel tempo delle post-verità o menzogne che circolano copiosamente sui social network, è sufficiente un blog o una brochure nella quale sono espresse le criticità per la gestione di un edificio ligneo per far diventare subito inaffidabile tutta l’architettura lignea. Da alcune interpretazioni non validate scientificamente, pertanto, ci permettiamo di prendere, rispettosamente, le distanze. Dall’analisi delle migliori pratiche ed esperienze italiane ed internazionali, gli articoli pubblicati in questo ed altri blog rivelano di una nuova “primavera” dell’architettura proprio per la riscoperta del legno come materiale da costruzione e raccontano come esso sia conveniente non soltanto ambientalmente, ma anche economicamente.

Il legno, proprio per le sue numerose proprietà fisiche-chimiche-meccaniche – per le quali, per esempio, resiste meglio degli altri materiali da costruzione al fuoco e garantisce più alte prestazioni di isolamento termo – acustico per un comfort abitativo notevole – si presta ad una manutenzione ordinaria più semplice e più immediata. È prioritario sottolineare, tuttavia, che nessuna manutenzione porterà benefici alla nostra abitazione se la costruzione non sarà stata realizzata a regola d’arte e con materiali di alta qualità certificati. È indispensabile, quindi, che sia la progettazione che la costruzione siano curate da tecnici e ditte altamente qualificate, come Albertani Corporates, per un risultato esteticamente apprezzabile, duraturo e sostenibile. Ove questo avvenisse, infatti, otterremmo un primo, straordinario, riconoscimento: la nostra casa, per almeno 20 anni, potrebbe non necessitare di interventi di manutenzione straordinaria. Questo “periodo di garanzia” è elevato, in alcuni casi, addirittura fino a 30 anni, a conferma di quanto, con l’innovazione tecnologica che ha qualificato e ottimizzato i processi industriali, le costruzioni prefabbricate in legno siano oggi soluzioni affidabili e credibili.

Ma cosa si intende per manutenzione straordinaria e in cosa differisce da quella ordinaria? La risoluzione di questo enigma è nell’art. 3 del “nuovo” D. P.R. 380/2001, ossia nel Testo Unico dell’Edilizia aggiornato all’11 dicembre 2016 nel quale con “interventi di manutenzione ordinaria“, definiamo “gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”; mentre con “interventi di manutenzione straordinaria“, ci riferiamo “alle opere e alle modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’ uso”.

Quali sono e sarebbero, conseguentemente, i rischi per la nostra casa in assenza di una corretta manutenzione ordinaria da parte dell’utente? I pericoli sono variabili e dipendono dall’eventuale livello di degrado raggiunto. Nella consapevolezza che il principale “nemico” del legno è l’umidità, occorrerà, all’occorrenza, intervenire con vernici naturali e/o con una maggiore ventilazione naturale al fine di restituire la giusta salubrità agli ambienti interni della nostra abitazione.

In generale, quindi, si dovrà prestare attenzione alla “gestione dell’acqua” per evitare, nel tempo, spiacevoli inconvenienti e, a tal proposito, l’utente – anche raccogliendo gli utili suggerimenti oggi contenuti nei “libri della manutenzione” messi a disposizione dalle aziende costruttrici – dovrà monitorare il comportamento degli impianti e il funzionamento degli infissi.

In questo modo, il nostro alloggio in legno sarà ancor più economicamente conveniente e viverlo sarà ancora più piacevole per l’alto livello di comfort che sapremo garantirci.

Giuseppe Milano

È, probabilmente, il fenomeno più dannoso per la nostra salute. Non solo perché invisibile, ma anche perché per decenni è stato enormemente sottovalutato nella sua complessità: stiamo parlando dell’inquinamento indoor. Questo rappresenta oggi una delle principali criticità che progettisti e operatori dell’edilizia devono interpretare ed affrontare per fornire soluzioni altamente performanti che conducano ad una sostenibile vivibilità degli ambienti confinati.

Sulla base di uno studio del 2010 dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), con l’espressione “inquinamento indoor” definiamo “la presenza nell’aria di ambienti confinati di contaminanti fisici, chimici e biologici non presenti naturalmente nell’aria esterna”. Ne consegue che sono “indoor” non solo le abitazioni, ma anche gli uffici pubblici e privati, le strutture comunitarie (ospedali, scuole, caserme, alberghi, banche), i locali destinati ad attività ricreative e sociali (cinema, bar, ristoranti, negozi, strutture sportive), i mezzi di trasporto pubblici e privati (auto, treno, aereo, nave).

Già da un ventennio la comunità scientifica internazionale si interroga su come arginare efficacemente i cambiamenti climatici, profondamente impattanti sulla nostra esistenza, anche attraverso l’alterazione dei regimi inquinanti. Nonostante ciò, l’inquinamento indoor non è ancora entrato nell’agenda delle priorità politiche, per un’analisi delle cause ed una proposta di soluzioni.

Secondo lo studio già richiamato dell’Ispra, ma anche in quelli elaborati dal 2004 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.), nelle aree urbane degli Stati Uniti e di quelle europee si trascorre mediamente non meno dell’80% della giornata in ambienti chiusi, tra abitazioni, uffici e mezzi di trasporto. La percentuale aumenta al 90% per categorie come bambini, anziani o malati. Questi tassi ci consegnano una fotografia limpida della realtà contemporanea: abbiamo degli stili di vita che non prevedono la fruizione degli spazi pubblici e all’aperto in modo continuativo nel corso dell’anno. Il rischio è che sia la nostra salute che il nostro umore siano profondamente influenzati dai luoghi nei quali maggiormente consumiamo il nostro tempo.

Quali sono, quindi, i fattori di inquinamento per uno spazio confinato? Gli agenti cancerogeni, o comunque da monitorare, possono essere schematizzati nel modo seguente: le concentrazioni inquinanti provenienti dall’esterno, i materiali da costruzione e gli impianti di condizionamento, i mobili e gli arredi, gli odori generati dalla cottura dei cibi e i prodotti per la pulizia, gli animali domestici, la polvere e le muffe. Se questi elementi, singolarmente o combinati, non fossero gestiti opportunamente, anche attraverso adeguati sistemi di ventilazione e di illuminazione, potrebbero peggiorare la salubrità degli ambienti interni e incidere sulla qualità della vita.

Tra i materiali impiegati non solo per la costruzione degli edifici, fino agli inizi degli anni ’80, troviamo ad esempio l’amianto, il cui sbriciolamento in fibre facilmente inalabili ha già prodotto migliaia di morti per mesotelioma pleurico. Ed il picco, purtroppo, è previsto per il 2025, essendo questo un male con una latenza che può durare anche un ventennio. Nonostante questo, l’amianto è ancora presente in moltissime architetture residenziali ed industriali: si tratta di un tema prioritario non solo per l’ambiente, ma anche per la salute.

Particolare attenzione, avendo un’origine chimica-sintetica, la meritano poi non solo tutti i prodotti in Pvc, ma anche tutte quelle vernici o pitture realizzate con materiali non naturali con le quali andiamo a colorare le nostre abitazioni, i nostri uffici o i nostri negozi. In sintesi, i maggiori contaminanti di natura chimica sono: il monossido di carbonio (CO); il biossido di azoto (NO2); il biossido di zolfo (SO2); i composti organici volatili (VOC); la formaldeide (CH2O); il benzene (C6H6); gli idrocarburi aromatici policiclici (IPA); il particolato aerodisperso (PM10, PM2.5); i composti presenti nel fumo di tabacco ambientale e i pesticidi.

L’invito è dunque innanzitutto quello di utilizzare, per le costruzioni in particolare, prodotti naturali e non allergenici e affidabili come il legno. Sarebbe poi opportuno verificare scrupolosamente la composizione chimica-biologica-fisica di tutti quegli elementi con i quali interagiamo nelle nostre case o nei luoghi di lavoro, prediligendo quelli ad alta e garantita sostenibilità, per evitare di soffrire di asme, emicranie e anche problemi cardio-respiratori. Non dimentichiamo, infine, che ornare con piante i luoghi in cui viviamo non potrà che fare bene all’ambiente esteriore e al nostro “paesaggio interiore”. Per una qualità della vita sempre più alta e rassicurante.

 

Giuseppe Milano

Quando si parla di edifici e di case in legno, spesso si tende a soffermarsi sulle questioni riguardanti i diversi sistemi costruttivi che è possibile impiegare e le diverse opzioni circa lo spessore e la stratigrafia delle pareti esterne.

Ma quali sono gli accorgimenti che è bene adottare perché anche la copertura della nostra casa contribuisca all’ottimizzazione del comfort abitativo interno e dell’efficienza energetica?

Anche l’elemento tetto, infatti, insieme a tutti gli altri che costituiscono l’edificio, riveste un ruolo fondamentale nel complesso delle interazioni tra l’abitazione e l’ambiente esterno: come per le pareti, esso deve garantire l’isolamento acustico e la protezione, nello stesso tempo, dal freddo della stagione invernale e dal caldo di quella estiva e deve essere traspirante, così da evitare la comparsa di fenomeni di condensa e, successivamente, di muffa all’interno.

Perché scegliere un tetto in legno? Scegliere il legno per la realizzazione della copertura della propria casa significa innanzitutto scegliere tutte quelle (vantaggiose) caratteristiche che questo materiale porta con sé: robustezza, leggerezza, resistenza al fuoco, salubrità dell’ambiente interno (ricordiamo che il legno è igroscopico e quindi agisce, in maniera naturale, come regolatore dell’umidità).

A questi aspetti, si uniscono quelli derivanti dalla tecnologia impiegata: le adeguate scelte in fase progettuale, la qualità dei materiali e dei componenti impiegati e la posa in opera eseguita ad arte contribuiscono infatti alla massimizzazione dei vantaggi e del livello di comfort abitativo interno.

Il tetto ventilato. La tipologia di copertura in legno più diffusa è il cosiddetto tetto ventilato, i cui vantaggi si riflettono sul piano del comfort abitativo, della durata delle strutture e del risparmio energetico. È caratterizzato appunto dalla presenza di una camera d’aria collocata tra lo strato isolante ed il manto di copertura, che consente la circolazione dell’aria ed assicura un doppio beneficio: contribuisce a mantenere ben asciutti il materiale isolante e gli altri elementi in legno, assicurandogli così maggiore durata, e nello stesso tempo, funge da ulteriore strato isolante. Nel periodo estivo inoltre, l’aria che penetra dalla linea di gronda all’interno della camera di ventilazione, si riscalda, diventa più leggera e, grazie a moti convettivi, tende a risalire verso l’alto fino a fuoriuscire dal colmo, sottraendo calore (e il vapore acqueo che dall’interno dell’abitazione traspira attraverso il legno verso gli strati più esterni) e contribuendo a mantenere fresco e salubre l’ambiente sottostante.

Per l’adeguato dimensionamento della camera d’aria, la norma UNI 9460/2008 stabilisce che essa non deve essere minore di 550 cmq per metro lineare di larghezza di falda (per falde comuni aventi pendenza compresa tra il 30 ed il 35% e lunghezza massima non superiore a 7 m).

Stratigrafia del tetto ventilato in legno. Sotto il profilo tecnologico – costruttivo una copertura ventilata in legno è costituita da quattro principali categorie di elementi che, procedendo dall’interno verso l’esterno, possiamo così classificare: la parte strutturale, l’isolamento, lo strato di ventilazione e, infine il manto di copertura.

La struttura può essere realizzata o mediante l’impiego di una orditura primaria in elementi lamellari opportunamente distanziati, sui quali poggia il perlinato, oppure utilizzando pannelli X-lam.

In entrambi i casi, al di sopra di questo primo strato, si trovano la barriera al vapore e l’isolamento, che può essere realizzato in svariati materiali, come la fibra di legno, la lana minerale, il sughero: questi vengono posti in opera sotto forma di lastre o pannelli ed inseriti nella struttura all’interno di apposite intercapedini ottenute attraverso l’impiego di listelli di legno.

Segue lo strato di ventilazione o camera d’aria, anch’esso ottenuto impiegando listelli di legno distribuiti in maniera omogenea e disposti perpendicolarmente rispetto al colmo, che fungono da appoggio a pannelli del tipo OSB o simili. Al di sopra vi sono la guaina impermeabilizzante e, infine, il manto di copertura.

Per consentire il passaggio dell’aria in entrata ed in uscita vengono impiegati specifici complementi in lattoneria o materiali plastici, come griglie, cosiddette, anti-passero per evitare che piccoli animali si intrufolino nella camera di ventilazione, e colmi ventilati prefabbricati in grado di fungere come veri e propri camini.

Finitura e qualità estetica. Come per le pareti interne ed esterne, anche per quanto riguarda i sistemi di copertura l’impiego del legno non pone limiti alle scelte inerenti finiture e rivestimenti. I tetti in legno possono infatti presentarsi con manto di copertura in coppi o in tegole o in lastre di qualsiasi altro materiale. Sul lato interno invece questi sistemi consentono l’ottenimento dei vantaggi estetici legati alla intrinseca qualità estetica del materiale stesso, in grado di caratterizzare ambienti eleganti, raffinati ed accoglienti.

Non solo case in legno. La tecnologia del tetto ventilato in legno assicura le massime prestazioni quando viene applicata ad edifici di legno e non, progettati e realizzati secondo i dettami dell’efficienza energetica. La si può tuttavia impiegare (ed è questo un fenomeno sempre più frequente) anche nell’ambito di interventi di ristrutturazione di edifici esistenti e di recupero abitativo di piani sottotetto: in questi casi infatti, l’impiego del legno, oltre a garantire i benefici sul piano del risparmio energetico e del comfort interno, consente anche (e soprattutto) la realizzazione di strutture più leggere e quindi di minore impatto sugli aspetti statico – strutturali di fabbricati magari storici.

 

Elena Ottavi

“La mia casa è piccola ma le sue finestre si aprono su un mondo infinito.” 

Confucio

Quando si acquista una mansarda lo si fa spesso per vivere in uno spazio unico e inusuale, a contatto con il cielo. Spazio che diventa il luogo ideale per dormire, ospitare gli amici, lavorare, giocare, o semplicemente rilassarsi. Un sottotetto convertito in mansarda si presta a moltissimi usi, che si trasformano in progetti e trovano espressione concreta nelle realizzazioni firmate Albertani Corporates, che vanta comprovata conoscenza ed esperienza nel settore delle costruzioni in legno e capacità nel soddisfare gusti ed esigenze del cliente.

L’utilizzo di materiali naturali rappresenta una decisione intelligente che mira a salvaguardare la salute e la qualità della vita tra le nostre mura domestiche, nel pieno rispetto dell’ambiente e della natura che ci circonda. Oltre a essere sostenibili, si tratta di materiali che durano nel tempo e non passano mai di moda.

Ecco perché si prediligono mansarde con il tetto in legno. La sensazione che si ha quando si entra in una mansarda in legno è quella di essere abbracciati dalla stanza: i colori caldi di tetto, pareti e arredi evocano subito l’immagine di una casa in montagna. L’ambiente può essere più rustico, ma la sensazione di accoglienza è ugualmente assicurata, se si sceglie la stessa essenza di legno per tetto, pareti, pavimento e finestre. Oppure si può pensare un mix tra lo stile rustico e quello contemporaneo, combinando diversi tipi di legno, più chiaro per tetto, pareti e pavimento, ma più scuro per i mobili.

Il tetto in legno, soprattutto se utilizza vecchie travi restaurate, si sposa perfettamente con lo stile tipico delle case di montagna, ma è facilmente replicabile anche in città se si sceglie di mixare design e tradizione.

Se, invece, si vuole uno stile più simile a quello della baita di montagna, la soluzione può essere quella di installare una stufa o un camino, con dei mobili in legno naturale realizzati su misura, che si adattano alla parte più bassa dal tetto.

Ecco alcuni esempi di mansarde in legno, tutte italiane, dalle quali prendere spunto per ristrutturare o arredare la vostra.

 

Villa a Selva di Val Gardena by Perathoner Architects

La mansarda, aperta alla vista d’eccezione verso il massiccio del Sella, è il cuore della casa e punta sul dialogo continuo fra interno ed esterno.

La costruzione è stata realizzata secondo i criteri degli edifici a basso consumo energetico con certificazione Casa Clima Nature nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale dei materiali utilizzati.

 

Casa FL by Elisa Manelli, Bologna

Due elementi fondamentali definiscono l’identità dell’intervento: l’ottimizzazione dell’intero spazio del sottotetto non abitabile, con valorizzazione delle altezze ridotte, e l’inserimento di un’ampia vetrata che mette in comunicazione zona living e terrazza.

Particolare attenzione è stata rivolta agli arredi, disegnati su misura da maestranze artigiane per sfruttare le diverse altezze e pendenze della casa.

Dalla cucina al sistema di panche lavorate a pialla, al tavolo da pranzo in rovere massello, che ricorda un vecchio banco da lavoro da falegname, le superfici in legno dialogano con gli elementi laccati di colore bianco opaco, in un gioco di contrasti tra le finiture.

 

Sv house by Rocco Borromini, Albosaggia

Il progetto riguarda la realizzazione di una casa sui resti di un vecchio rustico. La struttura è composta da due muri in pietra portanti collegati da un solaio in cemento armato mentre il secondo solaio, il tetto e la facciata sono realizzati in legno. Nel complesso lo spazio è ridotto, ma questo, unito alla scelta dei materiali, ha contribuito a creare quella sensazione di “focolare domestico” di grande valore evocativo degli elementi tipici dell’architettura rurale.

 

Casa Fiera by Massimo Galeotti, Treviso

L’ampliamento dell’edificio, che completa la volumetria esistente, è stato rivestito in doghe di legno nelle pareti verticali e in falda per esaltarne la sua stereometria e per distinguere la porzione antica da quella originaria. Negli interni si è conservato quello che è stato possibile recuperare dalle vecchie travi e della vecchia struttura del tetto nascosta, ora riportata a vista.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nei secoli passati le biblioteche sono state considerate e progettate esclusivamente come luoghi per contenere e custodire libri, preziosi tesori dal valore inestimabile, ed alle quali avevano accesso soltanto in pochi: questi fortunati erano soprattutto i monaci amanuensi addetti alla copiatura dei volumi che, negli anni, sono stati tramandati fino ai giorni nostri. Oggi invece questi edifici hanno acquisito nuove funzioni e valori: da semplici luoghi di conservazione e studio dei testi, sono diventati veri e propri centri di vita. Sempre più spesso infatti, hanno come principale ruolo quello di individuare nuove polarità all’interno dei tessuti urbani, soprattutto di quelli meno consolidati delle periferie o delle aree di espansione più recente, e di contribuire alla definizione dell’identità di queste realtà più giovani. Ecco quindi che questi rifugi di silenzio e riflessione si sono via via trasformati in veri e propri centri di scambio e di condivisione di cultura, relazioni sociali, esperienze, attività.

Multifunzionalismo. Di pari passo con questi cambiamenti e con la galoppante evoluzione dei sistemi di comunicazione, le biblioteche hanno cominciato anche ad essere dotate delle tecnologie, sempre più numerose e sempre più complesse, finalizzate a rendere fruibile materiale non più solo cartaceo ma multimediale. Questa differenziazione e moltiplicazione delle esigenze e delle funzioni ha, a sua volta, portato con sè maggiori complessità e varietà degli spazi necessari per la consultazione di libri e di materiali audio-visivi, per lo studio, per l’accesso alle banche dati on-line, per la navigazione web, ma anche ambienti riservati ai bambini, per attività creative ed aule relax per gli scambi interpersonali.

L’architettura della biblioteca oggi. Pertanto anche l’architettura della biblioteca, sottoposta a questi nuovi e numerosi input, deve necessariamente confrontarsi con queste trasformazioni e, così come per le abitazioni, anche per questi edifici negli ultimi anni la strada che sempre più spesso i progettisti scelgono di intraprendere, è quella della sostenibilità e del legno. Nei tempi recenti sono soprattutto due i progetti, ora realizzati, che, da questo punto di vista hanno attirato l’attenzione: quello della Liyuan Library e quello noto come “The Pinch”, entrambi in Cina.

Liyuan Library, Villaggio di Huairou, 2011. Questo edificio è stato realizzato ad Huairou, un piccolo villaggio alla periferia di Pechino, la cui nota distintiva è all’interno di un contesto di elevata qualità paesaggistica: la zona si caratterizza infatti per la ricca presenza di vegetazione e di corsi d’acqua. Per questo i progettisti (Li Xiaodong Altelier), hanno ideato un edificio in grado di fondersi con l’ambiente circostante e di garantire, nello stesso tempo, la sostenibilità attraverso l’impiego dei materiali del luogo.

L’edificio si configura come un volume estremamente semplice, definito da ampie superfici vetrate rivestite esternamente da piccoli rami in legno grezzo, molto ravvicinati, e che fungono, nel contempo, anche da frangisole: in questo modo la luce penetra all’interno in maniera uniforme, garantendo le condizioni di illuminazione ottimali per le attività di lettura.

Anche gli interni sono realizzati interamente in legno, utilizzato sia per il rivestimento di pareti e solai, sia per gli elementi di arredo: si caratterizzano per la distribuzione degli ambienti su livelli differenti, collegati da scale la cui peculiarità è quella di poter essere utilizzate anche come sedute o ripiani per l’alloggiamento dei volumi.

The Pinch, Villaggio di Shuanghe, 2014. Al di là degli aspetti strettamente funzionali, questo edifico, anch’esso realizzato in Cina, simboleggia la rinascita del villaggio, e della comunità qui risiedente, dopo il terremoto che nel 2012 l’ha raso al suolo. Il progetto, che ha visto la partecipazione dell’Università di Hong Kong, è stato pensato come biblioteca e come centro di aggregazione rivolto soprattutto ai bambini ed è sorto a ridosso del muro di contenimento che definiva la piazza del villaggio, in realtà uno spazio rimasto vuoto dopo il terremoto ed in attesa di essere, un giorno, ricostruito.

Per riunire, sia fisicamente sia simbolicamente, le diverse zone, i progettisti hanno dato vita ad un edificio che, letteralmente, funge da ponte tra il livello più alto del villaggio (quota + 4,00 m, dove si trovano le nuove abitazioni ricostruite) e quello più basso della piazza: il risultato è un’architettura caratterizzata da una copertura calpestabile in legno che può essere utilizzata sia come parco giochi (come parete da scalare o come scivolo) sia come terrazza per la lettura all’aperto.

L’edificio presenta una struttura in legno, rivestita da doghe ed impermeabilizzata all’interno da fogli di alluminio. L’ingresso della luce è consentito dalla presenza di grandi aperture in policarbonato.

Nuova biblioteca della Temple University, Philadelphia, 2018. Quest’ultimo esempio è un progetto ancora su carta e che, presumibilmente, vedrà la luce nell’autunno 2018 circa. Si tratta della nuova biblioteca del campus della Temple University di Philadelphia ed è già stata annunciata come una vera e propria celebrazione dell’architettura in legno oltre che come dimostrazione delle possibilità che questo antico – nuovo materiale offre in ambiti anche molto diversi (per esigenze e dimensioni) da quello dell’edilizia residenziale. A differenza dei due esempi precedenti, infatti quest’ultimo avrà dimensioni molto maggiori, calibrate in funzione di quelle del campus, al cui interno orbitano circa 38.000 persone.

Il progetto, opera dello studio norvegese Snøhetta, è pensato come uno spazio in grado di stimolare la circolazione, lo scambio e la condivisione di persone, relazioni ed idee. Si configura come un volume compatto rivestito in pietra (che richiama i materiali locali) e con grandi vetrate, con l’ingresso messo in evidenza da un arco in legno. Quest’ultimo sarà il materiale dominante negli spazi interni, caratterizzati da pareti curve e forme sinuose rivestite da listelli.

 

Elena Ottavi