Riuso di container e prefabbricazione in legno: dove si abita meglio?
Riuso e sostenibilità
Tra le molteplici forme e modalità attraverso cui si può, concretamente, realizzare la sostenibilità, vi è quella che passa attraverso il riciclo e riuso di materiali e componenti di vario genere e natura. In ambito architettonico sono numerosi i progetti (realizzati e non) riconducibili a questa tematica, che prevedono, ad esempio, il reimpiego e l’assemblaggio ad uso abitativo di moduli prefabbricati, più comunemente noti come container. Essi consistono in strutture metalliche impiegate soprattutto nell’ambito del trasporto intermodale di merci, il cui principale vantaggio è quello rappresentato dalla possibilità di movimentare i carichi che contengono in maniera più veloce e sicura. Il più diffuso ed utilizzato è il container ISO, “un parallelepipedo in metallo le cui misure sono state stabilite in sede internazionale nel 1967. A fronte di una larghezza comune di 8 piedi (244 cm) e una altezza comune di 8 piedi e 6 pollici (259 cm), sono diffusi in due lunghezze standard di 20 e di 40 piedi (610 e 1220 cm)” (fonte: Wikipedia).
Comfort e abitabilità di un container
Il loro impiego può avvenire secondo diverse forme e modalità: i container possono costituire l’unità modulare e costitutiva di strutture realizzate ex novo a partire dal loro assemblaggio, oppure possono venire impiegati come volumi in ampliamento nell’ambito di progetti di ristrutturazione.
Il loro utilizzo a scopo abitativo può vantare diversi aspetti a favore, come l’economicità, la buona durabilità, la facile reperibilità, la resistenza: non mancano però anche le controindicazioni, dal momento che si tratta di strutture prevalentemente metalliche e che, pertanto, devono prima essere trasformate e rese adeguate e rispondenti alle minime esigenze abitative di salubrità e comfort. Esse, ad esempio, non presentano alcuna forma di coibentazione né sono traspiranti: ciò comporta livelli molto elevati di dispersione del calore e di scambi di energia tra interno ed esterno. Nello stesso tempo impediscono all’umidità generata dalla presenza interna di persone e dallo svolgimento delle attività domestiche quotidiane, di fuoriuscire, come invece avviene con materiali come il legno. Quindi per poter essere abitabile un container deve, almeno, venire preventivamente isolato dal punto di vista termico. Dovrebbe inoltre essere depurato di tutti quei componenti tossici (vernici, solventi, prodotti chimici di vario genere) generatori di forme di inquinamento indoor che, nel tempo, potrebbero rivelarsi dannose per la salute degli abitanti.
Qualche esempio
Ad oggi la tematica del riuso di container a scopo abitativo raccoglie consensi ed interesse e gli esempi di applicazione aumentano ogni giorno di più: molto spesso di tratta di elaborazioni e di progettazioni finalizzate alla realizzazione di moduli residenziali standard, combinabili e destinati a dare forma e vita a nuovi modelli abitativi economici e sostenibili.
Fra gli esempi realizzati possiamo citare la World Flex Home, costruita a Wuxi in Cina su progetto dello Studio danese Arcgency di Mads Moller: si tratta di una struttura ottenuta dalla combinazione e dall’assemblaggio di tre container dismessi, ed integrata con l’impiego di soluzioni sostenibili atte al contenimento dei consumi e degli sprechi. Ne risulta un’abitazione modulare, adattabile ai diversi contesti e parzialmente personalizzabile in funzione delle esigenze e dei gusti degli abitanti.
Sono invece sei i container che Niu Jian, giardiniere cinese, ha utilizzato insieme ad un team di architetti e disegnatori per realizzare The Container Home, il prototipo di un’abitazione temporanea destinata ad ospitare una comunità di persone che condivida un progetto di vita collettiva e sostenibile contro il dilagare dell’industrializzazione e dell’inquinamento. Anche in questo caso tutto è stato progettato e costruito all’insegna della sostenibilità e dell’efficienza energetica: i singoli moduli sono combinabili secondo varie modalità che variano per tipologia e per numero di elementi.
Invece, il progetto Mini House dell’architetto svedese Jonas Wagell non prevede l’impiego di veri e propri container, ma si configura come momento di sintesi e connessione tra quella progettazione che prevede il riuso e la trasformazione di moduli originariamente non destinati all’abitazione e quella che, invece, definisce un modello che abbia già intrinseche le caratteristiche dell’abitabilità e del comfort. Mini House è infatti una piccola casa di circa 15 mq, realizzata prevalentemente in legno, materiale che garantisce migliori prestazioni sotto il profilo termico, energetico e della traspirabilità. E’ totalmente isolata e disponibile in moduli di diverse dimensioni a seconda delle esigenze.
In Italia l’impiego dei container a scopo abitativo permanente è molto poco diffuso sia per la presenza di un clima, soprattutto nelle regioni del Centro e del Sud, che in estate raggiunge temperature anche molto elevate, sia per la mancanza di precise regolamentazioni normative al riguardo. Inoltre, come già precedentemente sottolineato, posta la sostanziale parità tra i container e i sistemi in legno dal punto di vista dei vantaggi prodotti dalla prefabbricazione e dalla rapidità di esecuzione, i secondi risultano molto più performanti, salubri ed adeguati ad esigenze abitative permanenti.
Non è tuttavia impossibile imbattersi, anche nel nostro Paese, in qualche esempio di applicazione di moduli prefabbricati industriali in ambito edilizio-residenziale, come nel caso della ristrutturazione della villa vicentina, in cui gli architetti Zerbato e Santacatterina, hanno affiancato al fabbricato storico un nuovo volume che volutamente ricorda un container industriale.
Elena Ottavi