I nostri nipoti rischiano seriamente di conoscere Venezia solo dalle fotografie. Gli scienziati dell’Ipcc, il panel promosso dalle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nel rendere alcune settimane fa il loro ultimo report – avviatosi subito dopo la Conferenza sul Clima di Parigi del 2015 – sono stati perentori e risoluti: se a livello globale non saranno assunte, rapidamente e incisivamente, nuove e strategiche politiche tese a decarbonizzare completamente l’economia facendo germogliare un nuovo modello di sviluppo radicalmente ecologico, la Terra entro la fine del secolo rischia di diventare un luogo assolutamente inabitabile e invivibile.
Il rischio che con l’aumento della temperatura media globale a 1,5° o più verosimilmente a 2° e anche più, se si continuasse ad inquinare alla velocità attuale, molte città e molti territori possano finire sott’acqua – per l’innalzamento dei mari – è molto concreto. Come assai probabile, tra gli effetti del medesimo fenomeno, è che le città diventino invivibili per l’eccessivo surriscaldamento e per le isole di calore che le attraverserebbero.
Ancor più, tutto questo potrebbe avvenire in città che entro il 2050 rischiano di ospitare, secondo le previsioni delle Nazioni Unite, almeno il 70% della popolazione mondiale, con un incremento notevole di complessità socio-antropologiche ed ecologiche-economiche da affrontare, in modo particolare secondo i paradigmi della sostenibilità e i dettami della conversione ecologica o dell’economia circolare.
Perché sono le città il cuore della sfida climatica in tutto il mondo. Perché è nelle aree urbane che si produce la quota più rilevante di emissioni ed è qui che l’intensità e la frequenza di fenomeni meteorologici estremi sta determinando e rischia di determinare sempre più danni crescenti, alle persone e alle infrastrutture. Per queste ragioni, pertanto, non solo grandi capitali globali come Londra, Parigi e Sydney, ma anche polarità europee di alto prestigio come Copenaghen, Rotterdam ed Amsterdam, per il loro rapporto genetico con l’acqua, hanno deciso, già da anni, attraverso l’implementazione di un sistema di misure adattive di rigenerare le proprie politiche urbanistiche orientandole alla sostenibilità per una connessione sentimentale con la natura.
L’architettura contemporanea, perciò, diventa una estensione della natura, in una relazione pacifica e non antitetica. L’esito di questo processo, ad oggi, sono le cosiddette “case anfibie”, le floating homes. Per quanto possano sembrare, tuttavia, ancora soluzioni avveniristiche o d’avanguardia, destinate ad una utenza ad oggi particolarmente ristretta e benestante, nel prossimo futuro non è escluso che questa tipologia costruttiva, con lo sviluppo ulteriore delle migliori tecnologie ecocompatibili e dei materiali naturali, possa diffondersi enormemente e rivolgersi ad un pubblico più ampio. Le esperienze oggi esistenti, e in aumento, confermano la tendenza a sperimentare questa smart e ecofriendly solutions sia per il settore residenziale sia per quello turistico.
Ma come sono costruite queste “houseboats”, ossia “case galleggianti” come barche, ma energeticamente autosufficienti?
Germania. Sulla riva meridionale del lago di Geierswald sono ancorate le due case vacanza galleggianti progettate e realizzate dai fratelli architetti Wilde. Per trasformare quella che era un’idea utopica in una pragmatica realtà, per oltre sei anni hanno studiato soluzioni tecnologiche specifiche. Nel dettaglio, sono stati previsti i pontoni galleggianti assemblati con perni di accoppiamento, il cui compito è sostenere le strutture in vetro e acciaio. Per la copertura di queste strutture a mezzo arco, invece, essendo necessario un materiale in grado di garantire la necessaria flessibilità durante il montaggio, ma anche capace di resistere all’azione corrosiva dell’acqua acida, è stato scelto l’alluminio. Per una casa tecnologicamente avanzata e ambientalmente evoluta che in caso di condizioni meteorologiche estreme le consente di galleggiare in sicurezza.
Inghilterra. Un’altra esperienza virtuosa, la “WaterNest 100”, ci porta a Londra, sebbene sia stata progettata dallo studio italiano di Giancarlo Zema. La costruzione, una casa dalla forma tondeggiante di 100 mq con un diametro di 12 m e alta 4 m, è realizzata in legno ed alluminio. Può ospitare quattro persone e può produrre energia pulita sufficiente per coprire i consumi mediante i pannelli fotovoltaici presenti sulla copertura. Gli arredi interni, inoltre, sono ecologici e l’impianto di micro-ventilazione è del tipo a basso consumo. Per l’uso di materiali sostenibili, infine, l’abitazione è riciclabile fino al 98%.
Stati Uniti. A Seattle, progettata dagli architetti Lanker e Bloxom, si trova “Houseboat H”. L’unità abitativa, una casa net zero energy (ossia energeticamente autosufficiente), è stata realizzata con materiali riciclati e riciclabili. L’elevata qualità architettonica raggiunta, come il comfort termo-igrometrico indoor garantito, le hanno consentito di essere certificata Leed Platinum, ossia di ricevere la più prestigiosa certificazione internazionale sulla sostenibilità degli edifici. Nel dettaglio, uno dei punti di forza di questa costruzione innovativa è la depurazione dell’acqua. Sulle isole galleggianti di plastica riciclata che sostengono l’abitazione, infatti, sono state inserite delle piante autoctone, le cui radici affondano nell’acqua che loro stesse provvederanno a ripulire. Per una relazione sentimentale unica con il paesaggio circostante.