“Non ci sono più i lavori di una volta”. E meno male, verrebbe da dire confutando questo vecchio adagio popolare, ancora oggi pronunciato nostalgicamente da chi guarda al passato e non riesce a proiettarsi ottimisticamente nel futuro. La crisi economica, che finalmente sembra ci si stia lasciando alle spalle, per la sua dimensione endemicamente strutturale, ha sbriciolato certezze granitiche e cancellato competenze plastiche, aprendo le strade dell’avvenire. Per un “mondo nuovo”, nel quale paradigmi come la sostenibilità ambientale e sociale o l’innovazione culturale e dei processi industriali hanno incontrato l’adesione di tanti. Sulla scia della consapevolezza che i nuovi modelli potessero portare, contemporaneamente, benefici etici, economici ed ecologici.
La parola “crisi”, che deriva dal greco, significa opportunità. Ed ha rappresentato, pertanto, per centinaia di migliaia di persone, non solo giovani, la possibilità di ricostruire la propria quotidianità. A partire proprio dal lavoro, che la nobilita e la qualifica. Con la diffusione delle nuove tecnologie digitali e l’affermazione delle economie sociali e civili orientate a dare valore a processi come la condivisione, non solo i vecchi lavori sono stati reinterpretati, ma sono nati, soprattutto, nuovi lavori, il cui tratto di originalità risiede sia nelle forme in cui è realizzato sia nei luoghi.
Proprio dal bisogno, per tanti, di saldare la necessità di disporre con una bassa spesa di una postazione funzionale per lavorare, non disponendo delle risorse per un ufficio “tradizionale”, con la possibilità di farsi contaminare intellettualmente da saperi diversi dai propri presenti nel medesimo spazio, sono nati, sempre più frequentemente in architetture industriali o civili riqualificati e ammodernati secondo i parametri della bioedilizia, i co-working. Da “semplici” luoghi per il lavoro condiviso, negli anni, per il successo che in Europa e nel mondo hanno avuto, sono diventate polarità sempre più flessibili e permeabili nella volontà di accogliere tutti quei servizi solitamente extra-professionali di cui lo smart worker può aver bisogno: oltre alla cucina o alla sala riunione, oggi in molti hub è possibile trovare una palestra, una sala giochi, un cinema-auditorium. Con molti hub oggi scelti anche per le soluzioni eco-friendly adottate per l’arredo, per la dotazione impiantistica e l’alta vivibilità garantita. Vediamo, quindi, alcuni esempi virtuosi.
Londra. Tra gli innumerevoli coworking diffusi nella capitale inglese, quello che ultimamente ha suscitato nel panorama internazionale maggior clamore è stato “TreeXOffice”. Questo progetto, infatti, a carattere temporaneo, nasce con la volontà di stimolare i cittadini a vivere maggiormente le aree verdi per rendere produttivi i parchi urbani. Le otto postazioni sono state realizzate su una piattaforma, che ruota attorno ad un tronco di albero, costituita da pannelli in policarbonato traslucido apribili così da far entrare la luce e l’aria.
Lisbona. La capitale del Portogallo ospita quello che, probabilmente, è oggi il coworking più ecologico del nostro continente. “Second Home”, infatti, realizzato dallo studio architettonico SelgasCano, oltre a nascere dalla riqualificazione del Mercado da Ribeira (1100 mq) del quale è stata conservata integralmente la copertura con le sue capriate di ferro a vista, prevede un sistema di servizi (caffetteria, biblioteca, cinema, sala benessere) volti a creare sia convivialità sia una diversa professionalità per una maggiore creatività e imprenditorialità. Al centro dell’open space luminoso e colorato, un banco extralarge lungo ben 70 metri dalla forma sinuosa – abbracciato da un migliaio di diverse piante autoctone capaci di assorbire inquinamento indoor e rumore – per favorire sinergie e lavori di gruppo, ma anche l’adeguata privacy per concentrarsi sulla propria attività.
Hong Kong. Il più grande hub professionale-sociale della città, il CoCoon, ha nella sostenibilità ambientale il suo più efficace bigliettino da visita: il pavimento è stato realizzato prevalentemente in bambù, le luci sono a led, le pareti sono dipinte con vernici naturali e atossiche, l’inquinamento indoor è fortemente ridotto dalla diffusa presenza di piante che rendono, inoltre, l’open space più accogliente e rilassante per una esperienza del lavoro più produttiva.
Denver. Negli Stati Uniti, tra gli oltre 900 coworking presenti, merita una menzione d’onore il “GreenSpace” di Denver. È un hub, infatti, che ha adottato e sperimentato la filosofia dell’economia circolare: oltre ad essere costruito con materiali ecosostenibili e aver installato oltre 160 pannelli solari sul tetto per compensare il 100% del consumo di energia, ha previsto un punto di raccolta e riciclo dei rifiuti elettronici. Anche qui, poi, le diverse postazioni, inserite in un contesto conviviale, sono circondate da piante autoctone che contribuiscono alla riduzione dell’inquinamento indoor per una più alta salubrità dello spazio condiviso.
Milano. Nella capitale economica del Paese, oltre al prestigioso “Copernico” che ha ricevuto la certificazione americana di sostenibilità aziendale Leed Platinum per la radicale attenzione anche al ciclo di vita dei materiali impiegati per la realizzazione di questo spazio nel quale si integrano la sostenibilità ambientale e l’innovazione socio-digitale, ma citata anche l’esperienza di “inEDI”. Negli oltre 900 mq disponibili, sono state realizzate circa cinquanta postazioni per i professionisti. L’energia elettrica della struttura proviene da fonti rinnovabili e tutti gli arredi interni sono realizzati con materiali riciclati. Tra i tanti offerti, un servizio particolarmente apprezzato dai fruitori di questo spazio molto confortevole è la possibilità di disporre del bike sharing per spostarsi in città in modo ecologico e sostenibile.